Thursday, May 31, 2007

errore

[Quella nella foto non è Maria. Maria è una senza fissa dimora. Pura la persona della foto. Maria è' un'amica. Pure la persona della foto. Maria scrive poesie. Martedì ne ha scritta una su una borsetta a fiori e perline che ha visto addosso ad una ragazza. La borsetta le ha messo allegria e lei ha scritto una poesia. Maria ha visto questa foto.
"Ma è uomo o donna?" mi ha chiesto
Stavo sovrappensiero, Maria parla tantissimo, velocemente e di tante cose.
"E' una madonna!" ha continuato dopo una pausa.
"No, no, è una donna!" ho detto io distrattamente.
Poi l'ho guardata negli occhi, non era convinta. Ho guardato la foto e mi sono accorto dell'errore
"Scusa Maria, ero distratto, è proprio una Madonna!"]

Wednesday, May 30, 2007

quando nasci è una roulette



A cura di Ingy Mubiayi e Igiaba Scego
Quando nasci è una roulette
Giovani figli di migranti si raccontano - IN LIBRERIA DALL'8 GIUGNO


Sette ragazzi e ragazze di origine africana spiegano cosa significa essere nati a Roma da genitori stranieri (o esserci arrivati da piccoli): la scuola, il rapporto con la famiglia e con i coetanei, la religione, il razzismo, i sogni.Il futuro dell'Italia sarà sempre più disegnato da storie come quella di Adil, che vorrebbe fare il giornalista, di George e del suo gruppo rap o, ancora, come quella di Imam, attiva nell'associazione dei Giovani musulmani d'Italia.


Ingy Mubiayi è nata a Il cairo nel 1972 da madre egiziana e padre congolese. È laureata in Storia della civiltà arabo-islamica e gestisce una libreria a Roma. Ha pubblicato racconti in diverse antologie, tra cui Pecore nere (Laterza).


Igiaba Scego è nata a Roma nel 1974 da genitori somali. È laureata in Lingue e sta svolgendo un dottorato di ricerca in Pedagogia all'università di Roma Tre. Ha pubblicato i romanzi La nomade che amava Alfred Hitchcock e Rhoda (entrambi Sinnos editrice) e due racconti nell'antologia Pecone nere (Laterza).

www.terre.it

Monday, May 28, 2007

Teclado

Se ha roto la tecla CANC,

Como en mi mente.

Se ha roto y aunque siga pulsando

Tecleando

Presionando

El error se queda

Provocador y soberbio

Despreocupado de mi vergüenza.

Como en mi mente.

Asì tanto en Word

Como en mi miserable cotidiano

Es mejor que no cometa errores

Para no quedarme,

Al final de mi camino,

Con una sucesión de borraduras.

Dentro de poco

Cambiaré teclado

Y asì, sólo dentro de mi

Se quedarán cosas que quisiera borrar

pero no puedo

porque por eso no hay una tecla.

Pero por lo menos

Yo solo

Admiraré el oprobio

De estos errores

...

A los otros dejarè límpidos

Archivos Word

De aparente perfección.

g

traduzione: Silvia

[...a volte accadono cose strane...strane perchè non succedono mai...perchè non le hai mai fatte...perchè non le hai mai neanche immaginate...

a volte anche le persone sono strane...strane perchè non le capisci...perchè non ti assomigliano...perchè senti che non ti assomiglieranno mai...

mi piacciono le cose strane...strane perchè altro da me...perchè a me sconosciute...perchè fuori da me,mio,mi...

è tutto così infinitamente complicato...complicato perchè sono infinite le possibilità della stranezza...

è tutto così infinitamente semplice, in fondo, se guardi bene. ]

Poesie senza ADSL - il guasto

Il ricordo di te
si è graffiato
e mentre i tuoi occhi
con timida dolcezza
mi ripetono

ti amo

in una

fastidiosa

irreale
litania

solo ora
mi accorgo del potere
temporale
delle tue parole.

Per fortuna
ho fatto, a suo tempo,
un backup del tuo video.

g

[Sabato sono andato a mangiare all'arabo, vicino santa maria maggiore e mi sono preso una bella intossicazione alimentare. Ho vomitato e skakazzato come non mai. Anche adesso non mi sento bene. Mi sento debolissimo e con lo stomaco tristarello!!!]

Annunciazione in metropolitana



ANNUNCIAZIONE IN METROPOLITANA

di Chiara Cretella,

Fazi Editore, prima edizione Gennaio 2007

euro 14.50





E’ un romanzo struggente e tragico, fuori dal tempo, che non si ritrova in questo periodo storico di plastica e rifiuti inorganici, laterale ad ogni contemporaneità, che non utilizza la misera cronaca per i suoi disegni. Ricompone l’organico, ricrea una poetica parallela, una nicchia di luoghi che sembrano non appartenerci più, ma che furono nostri. E torneranno ad esserlo. Lo scritto accarezza la morte e la sua rappresentazione, ce la consegna come amica fedele, mentre ogni messaggio esterno oggi tende a negarla, a vilipenderla, a mascherarla. A VIOLENTARNE l’essenza. Non ce ne occupiamo, lasciamo a farneticarne uomini di superstizione, figure retoriche che capeggiano rivoltanti culti monoteistici. Sono loro che da secoli gestiscono questa materia e i suoi simboli, sono loro che impongono tesi consolatorie&ricattatorie



Il testo è percorso da una sana blasfemia e Chiara Cretella parla la lingua dell’eterno necessario, ne conosce l’alfabeto, il lessico.





“Avevo una sorella. Sì, avevo una sorella. L’ho scoperto quando ho compiuto dieci anni. Mia madre si era ammalata, le diagnosticarono delle cisti ovariche e dovette fare diverse analisi specialistiche. In una di queste radiografie le trovarono qualcosa di straordinario”





“Le trovarono un feto, cancrenizzato nell’ovaia. I resti di un gemello, che non giunse a maturazione e non venne partorito quando nacqui io. Era una femmina”.





“… Ero convinto fin da bambino di essere solo una parte di quello che avrei dovuto incarnare. Una sensazione di inspiegabile mancanza, come la caduta di un angelo maledetto da dio. Lucifero. Fu lui, veramente, solo lui a divenire profondamente umano”.





Il libro è costellato di ombre inquiete, di freak, bambine con gambe malformate che credono di essere gatti e si cibano di erba, prima di suicidarsi gettandosi dal cornicione del collegio. Alfredo, artista dalla sessualità ambigua prende Leanna per mano per condurla al centro se stessa, nel più doloroso dei percorsi. Perché solo la crudeltà è amorevole. L’ambiguità sessuale non è castrazione, ma rappresenta la totalità umana.





Piangevo cercando di farmi sentire. Tra le lacrime la porta era come trasparente. E vedevo Alfredo, la sua disperata vitalità. Accarezzava il suo amico con la leggerezza che dovrebbe avere un padre. E lo amava col tocco amoroso della madre.





Figure che possono provocare nel lettore reazioni allergiche, fastidio, ma che scansano la volgarità da libro degli orrori. Ci si aggira tra cimiteri monumentali, reliquie, ma paradossalmente la decadenza è altrove, a sprigionarsi è un’energia vitale che reinventa il corpo per riappriopiarsene.



Amore&morte, in assenza di sangue e ossigeno, fuori dall’ immaginario che i media ci consegnano, dal rosa carne platinato delle puttane corpivendole nazional popolari, dalla pratica relegata al ginnico – sportivo. Il corpo torna ad essere un tempio votato all’arte di un raffinato estetismo, un oggetto soggetto che muta attraverso il tatuaggio, la mutilazione, la mortificazione, l’anoressia, il dissanguamento, senza rinunciare a pronunciarsi a pronunciarsi su tematiche politiche, tutto si muove nella bolla a bassa pressione di un orrido periodo di restaurazione in assenza di rivoluzione.



Cercando una via d’uscita in un percorso che è ricerca, mai abbandono, né perdita di coscienza.





“Perché tutte queste energie non le riversi nella lotta?”



“Sei assurda. Il momento storico non permette una rivoluzione. Il sonno della ragione produce mostri… all’artista non resta che rappresentarli. Se tutti i mostri saranno uccisi quella sarà la fine dell’umanità”.





“…sarebbe questa la rivoluzione giusta: lasciare che tutto, nella sua decadenza, si avvii al suicidio collettivo per liberare l’universo da un cancro odioso e inutile. Il termine “rivoluzione” viene proprio da questo: è il moto di un pianeta attorno a un altro, che segna per noi il passaggio del tempo. L’unica rivoluzione, se ci pensi, è il nostro temporale passaggio su questo pianeta”.





Credo che questo romanzo carichi il lettore di tossine salutari, da un lato intossica l’organismo, dall’altro fa chiarezza su cosa divide la vera letteratura dalle sceneggiature buone per la caricaturale rinascita del cinema italiano della medietà e per le fiction televisive. Basta aprire il libro a caso per leggere pagine importanti, definitive, necessarie. Pare che l’editore abbia imposto tagli al testo, per relegarlo e sintetizzarlo per quanto possibile a codici riconoscibili ai beoti che si aggirano nelle librerie maneggiando i libri come fossero cartocci di salumi in carta oleata.



Spero che un giorno tutto il testo sia reperibile, magari reperibile e scaricabile in rete.



Per ora ringrazio per ciò che ho letto.

Saverio Fattori



TRILUSSA

Friday, May 25, 2007

g2 - seconde generazioni



[chi lo avrebbe mai detto che ad intermundia avrei scoperto l'italia che mi piace, l'italia che desidero. nel video un ragazzo italiano spiega i limiti del contetto d'identità per una nazione burocratizzata e retrò come la nostra. i figli degli immigrati, nati ecresciuti, nel nostro territorio, hanno numerosi problemi legali. loro sono la nostra più grande risorsa e noi li ostacoliamo. da parte mia posso dire che quando li ho scoperti ho pensato che con connazionali come loro posso essere fiero di essere italiano!!!]

Thursday, May 24, 2007

Wednesday, May 23, 2007

DOMANI STESSO

[Saverio Fattori fa parte, a pieno titolo di questo blog, ma ha qualche problema con l'alta tecnologia e se non fosse che scrive prosa gli proporrei, subito, di realizzare una poesia senza adsl per il sottoscritto.
Anzi lo faccio adesso: Saverio mi scriveresti una poesia senza adsl?
Comunque sia Saverio è uno scrittore e come scrittore credo che sia davvero vicino e affine con la sociopatia telematica di questo spazio. Lo scritto che mi ha inviato lo dimostra. Leggetelo e poi andate in libreria a cercare is uoi libri ... alemeno voi gli farete cosa gradita!!!


gg]

Non è successo oggi, perché oggi non esiste, tutto è cristallizzato in una goccia d’ambra che pare troppo scura per essere ambra. Visto mai fosse merda.

Beh, in quest’oggi sospeso, un manager di una multinazionale, si fa l’ultimo giro di saluti, un tour di commiato tra cameratismi e cortesie, strette di mano e sottotitoli ipocriti.

La sua facciona era apparsa all’interno delle bacheche poste in luoghi strategici , i non- luoghi attigui alle macchinette del caffè e ai cessi.

LA DIREZIONE RINGRAZIA E FA I MIGLIORI AUGURI PER I PROSSIMI IMPEGNI…



Era subentrato in un tempo remoto (pochi mesi per la verità, ma il mio metabolismo matto ci scherza con il calendario) a un vecchio ingegnere dai modi nobili e dorotei alla guida del mio ente. Un’ascesa veloce e spregiudicata che aveva gettato lo scompiglio tra le nostre fila. Controllo Qualità. Middle class aziendale in deriva fantozziana. Razza ibrida, senza identità. Ipotetici privilegi, nessun potere, persone fragili, intimorite, materiale buono per analisti senza scrupolo. Le cattive sensazioni si erano fatte carne e molte teste avevano preso a rotolare dentro il cesto dell’Ufficio Risorse Umane. Una dopo l’altra. Il giovane manager era un killer con la mission di potare l’albero dell’organigramma.

Il 28 giugno il suo diretto sottoposto mi isola nei pressi di una linea produttiva. È nervoso, è uno sporco lavoro ma qualcuno… mi informa del fatto che da settembre per me c’è la catena di montaggio. O il mondo fuori dai cancelli. Che è grande e pieno di possibilità. Il giovane manager non si è preso la seccatura di comunicarmelo direttamente. Ha rispettato l’ordine delle competenze e delle gerarchie.

Adesso arriva. A minuti. Sta completando il giro in officina, sta salutando alcuni addetti alla manutenzione. Dovrà dirmi qualcosa. Io non starò al gioco squallido di un servilismo che ormai non ha ragione alcuna. Posso dirgli in faccia cosa penso di quelli come lui. Posso dirgli che tutto sommato c’è da rimpiangere gli anni Settanta. Alcuni aspetti. Capi reparti incatenati ai cancelli. Per esempio. Posso dirgli che non sono il solito operaio di questi anni disperati drogato di telefonia mobile, formula uno e calcio. Non lavo la macchina il sabato mattina. Io le conosco le mascherine come lui. Ho letto saggi, romanzi. So cosa si intende per Fordismo, Postfordismo. Al di là delle sovrastrutture culturali so riconoscere uno stronzo. Quando mi sta davanti. È più alto, più giovane, ma impacciato, ha il ventre già flaccido e il fattore sorpresa ha sempre il suo peso. Ha la postura di un attrezzo arrugginito appoggiato in cantina. L’aspetto di un asciugamano da culo steso su un termosifone. Potrei staccargli l’orecchio con un morso. Potrei incularmi la vita per un calcio nelle palle da stroncargli la genia. Potrei entrare nel penale per una piccola soddisfazione. Potrei almeno non considerarlo. Liquidarlo con uno sguardo gelido. Il gesto della lama alla gola. Potrei dirgli che magari un giorno verrò a cercarlo. Magari con un referto istologico in tasca che parla di cellule impazzite. Quando non avrò più nulla da perdere. Lo cercherò. Lo troverò.

L’ombra mi arriva alle spalle. È qui.



-Domani stesso vado in Feltrinelli, compro i tuoi libri e mi prendo il tempo di leggerli! Scrivimi su questo foglietto i titoli!



Le teste di cazzo come queste sanno sempre come salvare il culo, hanno uno spirito di conservazione innato. Sarebbe sopravvissuto a un campo di concentramento. O lo avrebbe diretto.


Saverio Fattori

Insieme nelle terre di Inermundia

Con i ragazzi di INSIEME NELLE TERRE DI MEZZO siamo ad INTERMUNDIA.
Come ogni anno è bellissimo vedere e conoscere realtà incredibili.
Non vi stono con le mie pippe, ance se vorrei, ma vi lascio con qualche foto, che può raccontare meglio:

vi consiglio di tenere d'occhio questo il blog di G2 e scoprirete mondi nuovi che vi appartengono, volenti o nolenti!!!

Tuesday, May 22, 2007

Non è mare tutto ciò che bagna

[Samuele è un personaggio. A volte credo non esista. Credo di essermelo inventato e che lui vagabondeggi tra via marsala e la mia mente. Samuele ama il circo. Vorrebbe lavorarci. Ma quello del circo è un mondo pieno di precariato e difficoltà, ne parliamo spesso. Samuele ama i film di Alvaro Vitali, Bud Spencer e Terence Hill. A Samuele piace anche la poesia. Me l'aspettavo, ma mai avrei creduto gliene potesse piacere una mia. Mi ha chiesto lui di metterla in "internette" ... ed io l'ho fatto, onorato! La poesia è questa, non so se a voi sia mai piaciuta, ma ad una delle persone a cui era dedicata è sembrata bella!!!]

Aniversario

De verdad recopilaste

Muy bien los sms

De nuestros tres años.

Haz otra copia

Y intercambiémonoslas,

Firmadas.

g

Traduzione: Silvia

["si no te das cuenta de lo que vales el mundo es una tonteria si vas dejando que se escape lo que mas querías..."]

Monday, May 21, 2007

Poesie senza ADSL - L'ultima chiamata

La sua voce
(come la nostra)
superava lo spazio
nell'istante breve
del pigiare un tasto
per volare su un'onda gobba
come gobbo è il 57
che vede la terra, ma non dove mette i piedi.


E non sempre
il verde sorride
ai nostri passi
ancorpiù se la voce vola
portandocpn sè la mente
esperta a leggere gl'intimi pericoli dell'io
ma sorda al pericolo esterno.

Ora
quella voce è muta,
mentre dall'altro lato si urla
disperatamente.

Il corpo
distratto dall'ansia del fare
senza guardare sbarra la strada
ad un autoubus in corsa.

Anche lì
una voce
attraversava gli spazi
come una mala pennellata che scuarcia

la tela
...
quella del conducente.

g

[Questi pochi versi, mal scritti, spigolosi e sicuramente poco poetici sono frutto di una riflessione nata dalla lettura dell'articolo che vi incollo di seguito! L'articolo è vecchio e mi fu inviato da un carissimo amico tanto tempo fa, ma mi è rimasto in mente (e nel cuore) in modo lacerante. Nella poesia, ci tengo a sottolinearlo, non giudico nessuno. E' solo un modo di raccontare un dramma. Un modo diverso di fare cronaca.

In fondo, credo, siamo tutti la donna al telefono e tutti il conducente dell'autobus.

Ecco l'articolo:

MILANO - Parlava al telefonino l'autista del bus che ha ucciso una donna sulle strisce a Milano ieri sera. Il giudice lo accusa di omicidio colposo ma lui, 28 anni, da quattro nell'azienda di trasporti pubblici Atm, non replica: è ancora sotto shock. I passeggeri del "57" però non hanno dubbi; lo hanno detto ai vigili urbani e alla polizia: "L'autista era distratto perchè parlava al telefonino".

Anche lei, la donna travolta e uccisa dal bus, parlava al cellulare quando è stata investita. Elena Taborelli, 33 anni, abitava a Cadorago, in provincia di Como; faceva la psicologa. Stava attraversando la strada all'incrocio tra via Pier della Francesca e via Procaccini, un angolo poco illuminato, regolato però da un semaforo. C'era verde per la donna; il bus ha svoltato a destra ma non si è accorto che sulle strisce c'era un passante.]

Quando finisce l'estate 3

[Questa è l'ultima puntata della mia storia. Spero che vi sia piaciuta e nel caso così non fosse spero mi arrivino i vostri consigli per migliorare le mie narrazioni. Sono un po' triste e un po' felice. Ieri mi è arrivata una proposta per un secondo lavoro. Un lavoro che un tempo sapevo fare benissimo, ma che adesso mi spaventa. Ho bisogno di soldi e spero che questa cosa non influenzi le mie scelte. E' pur vero che il lavoro potrei accettarlo anche ad occhi chiusi, perchè è una cosa che fa parte di me e del mio cammino, ma pretendo tanto dal sottoscritto e questa cosa frena, a volte, i miei entusiasmi!!!]




Il vecchio senza dentiera tentava di convincere una vecchia con l’occhio storto e di circa cento chili a giocare a bocce, dicendole è divertentissimo giuro. L’indi, senza più imitare la Monnalisa con quella paresi che usava per sorridere perennemente, tentava di capire, guardandone accigliato le due estremità, come avesse fatto la sua collana lunga lunga a rompersi. Posso dartene una delle mie bel cioccolattino disse il trans strizzando l’occhio con una forza deformante e scoppiare poi in una fragorosa risata mentre si dirigeva all’ombrellone. L’indi tentò di sorridere e dondolare la testa, ma si vedeva, stavolta, che lo faceva apposta.

Cominciò a piovere così, all’improvviso. Senza dare alcun segnale a nessuno. Nemmeno capitan findus avrebbe capito che una secchiata d’acqua gelida si sarebbe riversata su quella spiaggia, quella mattina, proprio nel bel mezzo della lezione di yoga. Sembrava uno scherzo preparato ad arte. Gli anziani, imperterriti, stavano tutti a panza all’aria battendo, a braccia tese, le mani verso il cielo, come se applaudissero a fine spettacolo. L’acqua piovana si riversò loro addosso proprio in quel momento come nelle migliori candid camera.

Inquadratura dall’alto.

Tentarono di alzarsi velocemente per non bagnarsi, ma ovviamente, nonostante il fiatone che s’impossessò di loro quando trovarono riparo sotto la tettoia, ci misero una vita ad alzarsi e a raccogliere le loro cose. Molti arrivarono a fine acquazzone. La ragazzina, in acqua, soppesò l’idea di continuare a nuotare immersa in quel meraviglioso spettacolo di grigioblu e pioggia impetuosa, ma poi l’immagine della nonna in riva che le urlava disperata di rientrare, come se fosse questione di vita o di morte, la convinse a rientrare. Giunta a riva non vide più la nonnina e si ritrovò avvolta da una tovaglia da mare. Alzò lo sguardo e incontrò il volto del bagnino.

Ti stavo aspettando. Su corriamo, raggiungiamo gli altri, sotto la tettoia.

La tovaglia da mare puzzava. Di muffa e fumo. Come la macchina del padre della ragazza quando diventava necessario portarla all’autolavaggio. Non l’aveva neanche sbattuta prima di mettergliela sulle spalle. Adesso tutti i granelli di sabbia che si trovavano nell’intreccio della tovaglia le si sarebbero attaccati addosso. E perché poi la stava coprendo. Era stata in acqua tutto quel tempo. Non si sarebbe bagnata sotto la pioggia. Era già bagnata. Piuttosto le si sarebbe tolto il sale dalla pelle. Invece, adesso, sabbiamuffafumoesale si sarebbero spalmati per bene sul suo corpo, grazie a quel deficiente.

Come nelle migliori tradizioni cinematografiche l’acquazzone lasciò, all’improvviso com’era esploso, il posto ad un sole splendente e ad un cielo azzurro azzurro e il mare sorrise placido come se non si fosse accorto di nulla, come quando i bambini uccidono le lucertole e te ne mostrano il cadavere, allegri.

L’acquazzone aveva raggiunto ogni cosa. I vecchi si ritrovarono ad un tratto in un mondo di cose fradice e appiccicate e trasformarono il lido nello stenditoio di un castello d’altri tempi stendendo l’impossibile ad ogni appiglio.


E come si divertivano in quel gioco senza regole, nè vincitori. Se ne tornarono a casa più contenti e rilassati degli altri giorni.


La cicciona di cento chili con l’occhio storto stava osservando la vecchia sordomuta gesticolare con la sua accompagnatrice ad una velocità tale che ai cento chili di vecchiume vennero in mente i film di Bruce Lee. Il vecchio sdentato si avvicino alle due ninja con un palla di bocce e imitò, sorridendo, il gesto di lanciare. La vecchia sordomunta sgranando gli occhi, sbuffò al cielo con le corna ben tese e se ne andò.


Neanche ai campi scuola estivi per i ragazzi si poteva trovare il delirio da ultimo giorno che i vecchi in questione avevano cominciato a produrre.

Un delirio al rallentatore, ovviamente.

Una frenesia costipata.

Un’entropia disabile.

Per concludere quella settimana era stata concordata una cena finale da gran gala estivo con tanto di presenza di don Antonio a presiedere al banchetto di fine vacanza. Era stato invitato pure l’autista del pulmann che tanto avrebbe dovuto restare ugualmente visto che l’orario di rientro, in via del tutto eccezionale, era stato posticipato di qualche ora proprio in vista della cena on the beach. L’ultima lezione di yoga fu presa ancora più seriamente del solito anche dall’indi che fece abbracciare tutti i vecchi in un cerchio da sir taghi. Sembrava l’anello di cartapesta perso da Alzaimer, dio della terza età. La nonna aveva tentato di trascinare anche la nipotina in quell’ultima perla di saggezza indù che sarebbe stata loro dispensata, ma la ragazza, furbescamente, rispose che non poteva perdersi l’ultima nuotata in quel magnifico mare. La nonna, nonostante le alghe che inspiravano ed espiravano sul bagnasciuga, decise di non insistere in quell’ultimo giorno di festa.

Oggi sei più allegra del solito, come mai, la sorprese il bagnino mentre saggiava l’acqua in riva.

Fatti miei e si tuffò senza permettere al corpo di adattarsi all’acqua gelida. Ormai aveva rinunciato a quella pratica di contemplativa osmosi tra il suo corpo e il mare.

Tentò, per tutta la nuotata, di non guardare mai verso la riva e di sparire, almeno per quei pochi momenti, dalla faccia della terra. Di sciogliersi ad ogni onda un pezzettino in più.

Altro che yoga. Quando la mente può perdersi nel blu fresco del mare non c’è niente che possa competere con i la rilassatezza che ne consegue. Provò ad immaginarsi anziana a 60, 80 anni, ma scacciò immediatamente quel pensiero dal retrogusto di apatia e solitudine per scatenarsi in una nuotata a massima potenza.

Al pranzo, prima della siesta con sbavettata sonnolenta, si discusse del menù per la sera. Bisognava contemplare don Antonio, ovviamente. Ma don Antonio, al cellulare, non rispose.

Non lo sente mai.

Dopo un’ora di proposte, ognuno sembrava aver preso il diploma di cuoco all’alberghiero, si decise per tartine all’uovo di lombo e melone e prosciutto, pasta fredda con verdura e mango e medaglioni di pollo. Vino bianco fresco e qualche bibita per le signore e la ragazzina.

La coca cola no però, che dicono che faccia cose pericolose.

Qualcuno dice che quelli della coca cola abbiano ammazzato, addirittura.

Se vabbè e che bisogno ne hanno di ammazzare quelli, è una bibita mica parliamo di petrolio.

Intanto qualcuno lo dice. Ci sarà un motivo.

Per sicurezza prendiamo un bel chinotto italiano e ci togliamo ogni dubbio,

Infatti.

Giusto.

In quel momento telefonò don Antonio.

Che volevate? È successo qualche cosa? Chi stava annegando stavolta?

No don Antonio stia tranquillo, volevamo sapere se aveva qualche idea per la cena di stasera. Se c’è qualche piatto che preferisce, ma ormai abbiamo deciso.

Allora va bene, a me sta bene ogni cosa. Ma la fate quella pasta con i capperi che abbiamo mangiato per il 13 Maggio in parrocchia?

No don Antonio abbiamo deciso per una pasta fredda veloce veloce, ma…

No no no, va bene così, arrivederci e chiuse senza attendere repliche.

Quando la telefonata fu riferita agli altri, alcuni vecchi insorsero contro la signora che aveva parlato col prete.

Se don Antonio vuole la pasta coi capperi del 13 Maggio, quella si fa!

Ma quella del 13 Maggio ce la siamo mangiata tutta.

Nessuno rise.

Mica possiamo cucinare sempre le stesse cose però. Se don Antonio vuole la pasta con i capperi una di queste domeniche gliela facciamo.

Fu così che lo richiamarono per saggiarne il parere.

Ma no lasciate stare, che io dicevo tanto per dire, la pasta fredda va benissimo, che poi i capperi ce li posso mettere lo stesso.

Grazie don Antonio.

E lì a perdere una ventina di minuti a lodare don Antonio e la sua bontà.

Al supermercato andarono la nonnina con la nipotina, un’altra vecchietta che una volta aveva lavorato al mercato e la sapeva riconoscere la verdura fresca, sei baldi anzianotti che ancora potevano vantare forza e prestanza, mica come i giovani d’oggi che si spezzano come i grissini, l’avete visto il bagnino, ma quello può mai essere un bagnino? sembra stia annegando senza mettere piede in acqua? Dove l’ha preso il brevetto? Nel deserto? E l’autista del pulmann, che altrimenti, i vecchi, al supermercato più vicino ci sarebbero arrivati l’estate successiva e sarebbero tornati, semmai ce l’avrebbero fatta, quella dopo.

Posteggiare un pulmann di cinquanta posti il più vicino possibile all’entrata del supermercato fu un’impresa impossibile, ovviamente. Si concluse che i vecchi scesero a far la spesa, mentre il conducente avrebbe posteggiato più in là e li avrebbe ripresi dopo mezz’ora proprio davanti il supermercato. Inutile dire che dopo mezz’ora dei vecchi non c’era traccia, perché oltre alla loro lentezza biologica si sarebbe dovuto calcolare il coefficiente di chiacchiera elevato al coefficiente di mancato consenso che un gruppo di ottuagenari riesce ad avere nel prendere decisioni.

Fattosta che il conducente passò per ben quattro volte, facendo il giro dell’immenso isolato, davanti il supermercaro prima di trovare i vecchi nel luogo concordato con le buste della spesa. Ed è inutile aggiungere che bisognò bloccare il traffico per dieci minuti buoni prima che l’ultimo dei fossili fosse riuscito a salire con tutte le buste.

Credevamo si fosse dimenticato di noi.

Non la vedevamo più arrivare.

Il conducente li guardò con gli occhi infuocati di odio, ma non rispose nulla, si limitò a grugnire mentre metteva in moto il possente automezzo e guidò, volutamente, con fare aggressivo sotto gli occhi scandalizzati degli anziani.

Al lido trovarono don Antonio, che abbracciò calorosamente la spedizione e accarezzò la testolina della nipotina come fosse uno dei suoi cuccioli di campagna.

Come sta padre? Benarrivato! Non c’aspettavamo di vederla così presto. È stato gentile da parte sua accettare il nostro invito. Ma torna con noi? O mangia e scappa? Rimane, eh? Meno male!

Tra i saluti esagerati, come se col sacerdote non si vedessero da secoli, la ragazzina ne approfittò per sparire dalla vista della nonnina e rimanere un po’ tranquilla. Trovò, senza cercarlo, il bagnino, in un angolo del lido, disteso su una sdraio, con le cuffie alle orecchie, intento a leggere un libro logoro. Gli si avvicinò, senza imbarazzo. Ormai, l’unica cosa che le importava era arrivare a domani e riprendere in mano la sua vita, nonostante la sua famiglia.

Cosa leggi?

L’aitante bagnino dalla tovaglia da mare puzzosa si tolse le cuffie, sorrise esageratamente e le chiese come scusa, cosa leggi?, ah non lo so!, come non lo sai?, non lo so, è un libro di mio fratello, un vecchio urania, urania?, sì libri di fantascienza che uscivano molto tempo fa adesso li trovi ad un euro nelle bancarelle, ma come fai a leggere una cosa senza sapere cos’è, leggo solo per occupare il tempo, non voglio mica che mi scoppi la testa, ma a proposito: come hai fatto a resistere un’intera settimana co’ ‘sti vecchi, io per fortuna ho lavorato tutto il tempo e le giornate sono volate, ma tu…

Non sono poi così male e una settimana si può fare, l’importante è non spendere tutta l’estate con loro. Sarà, io mi sarei impiccato. Esagerato! Ti piace la musica da discoteca? Non la conosco? E le infilò le cuffie nelle orecchie. Una serie di suoni, ad altissimo volume, cominciarono a fare a botte nel suo cervello. Sgranò gli occhi incredula, come faceva quel tipo dall’aria tranquilla a leggere un libro con tutto quel frastuono assordante? Il tecno bagnino le tolse le cuffie sghignazzando. Cosa c’è? Niente, niente, hai fatto una faccia buffissima, sembravi un cartone animato! La ragazza non sapeva se offendersi o ridere con lui. Che tipo strano. Si sentì osservata. Pensò alla nonna, si alzò e si scusò, ma devo andare, buona lettura. Grazie. Ma dai, resta un altro po’. No, davvero, devo andare. Facciamo almeno una passeggiata. Una passeggiata? Sì, lungo il bagnasciuga. È una cosa molto romantica e le prese la mano. La ragazzina arrossì, visibilmente. Non posso, scusa.

Mentre raggiungeva il ballatoio in legno poteva sentire il frastuono da discoteca che martellava le orecchie del lettore disimpegnato. Raggiunse la nonna che, fortunatamente, non si era accorta della sua assenza.

Vai a dare una mano a mettere le candele.

Si decise di posizionare i tavoli il più vicino possibile alla riva. Si sarebbe cenato a lume di candela con il rumore delle onde come sottofondo. A turno si sarebbe fatto da spola tra la cucina e i tavoli per il cibo.

Sembrava si stesse organizzando una festa di paese, ma un paese di soli anziani era degno di un film horror o di una puntata di X-files.

Quando tutto fu pronto era ormai buio. Nessuno si godette il meraviglioso tramonto di quel giorno. Dove le nuvole arrossirono d’incomprensione per l’indifferenza umana. Forse solo il bagnino godette di quello spettacolo, se solo il suo cervello fosse riuscito a lavorare con tre variabile contemporaneamente: libro, musica e tramonto.

Le candele davano a quel posto l’aria di un lido tropicale. Don Antonio si sedette a capotavola e benedisse la cena che stavano per consumare, ma non ci mise tanto, sa come vanno queste cose, Dio si accontenta anche di un semplice grazie, basta che sia fatto col cuore.


Il vecchio trans servì a tavola con un’ilarità e uno sculettamento degno di una boldiana commedia italiana. Don Antonio lo ignorò senza dar a vedere l’insofferenza che gli provocava quell’ibrido di anzianità e perversione. Era il suo modo per aiutarlo: non dar peso ai suoi comportamenti corrotti. Solo quando gli fece cadere una tartina all’uovo di lombo sulla camicia e tentò di spazzolargliela animatamente don Antonio disse un secco ci penso io, figliola!


La cena sembrava il frutto biblico di un’amenità post-apocalittica. Una vecchia stava raccontando del suo viaggio di nozze ad Ischia, col suo defunto marito. Di quando arrivarono bagnati fradici nella pensione più sporca e puzzolente del mondo, dove le lenzuola era tutte gialle di sporcizia, c’erano peli dappertutto, i bagni era luridi di pipì e i proprietari sembravano usciti da un circo degli orrori. Raccontò di come, per risparmiare, andarono durante la bassa stagione e non trovarono neanche una della famose terme aperta per potersi rilassare. Di come, dopo una sola notte passata nella pensione fogna scapparono via, con i bagagli ancora fradici per la pioggia del giorno prima, vomitando rabbia e puzza. E mentre gli altri si sganasciavano dalle risate per quella storia raccontata cento volte – ad esser buoni – un tuono tolse la corrente al lido facendo tremare le membra anziane di paura.

Per fortuna avete messo le candele disse don Antonio soddisfatto, ma si vede che il grazie di inizio cena non era di cuore cuore, perchè un diluvio universale si riversò sulla tavolata con una forza devastante. Il panico s’impossessò di tutti.

Il buio improvviso e il frastuono della pioggia e dei tuoni allontanò i commensali nonostante fossero tutti seduti vicini. Ognuno dispensò consigli da protezione civile, ma le parole non riuscivano ad attraversare il muro di pioggia.

La cosa più terribile era il buio. Totale. Rumoroso. Inaspettato.

Alcuni si alzarono al primo lampo e tentarono di raggiungere la tettoia. Altri cercarono di raccogliere pietanze, bicchieri e bottiglie. Qualcuno cadde. Qualcun altro si diresse, per errore, verso il mare, ma tornò indietro immediatamente. La nipotina urlò alla nonna la direzione da prendere per mettersi al riparo con la sua amica. Poi prese l’insalatiera con la pasta e la portò sulla pedana di legno più vicina al bagnasciuga. Tornò al tavolo utilizzando i flash dei fulmini come fossero l’intermittenza di un faro impazzito e afferrò la seconda insalatiera. Vide il bagnino fare la stessa cosa, dall’altra parte della lunga tavolata, aiutato da don Antonio. Si sorrisero, fradici, come in posa per una foto gigante dal flash interstellare. Si diressero in direzioni opposte, raggiungendo le punte del ferro di cavallo che formavano le cabine.

Quando la ragazzina posò sulla pedana la sua seconda insalatiera, una mano, più grossa della sua, le afferrò il polso con una decisione disarmante. La mano la trascinò dentro la cabina con violenza. Il quattordicenne corpicino fradicio batté contro la parete di legno. La porta si chiuse con un rumore sordo creando una bolla di silenzio ovattato e immobile. La mano le accarezzò la faccia in modo ruvido e scoordinato. Poi le strinse uno dei piccoli seni. Un fulmine saettò all’orizzonte, ma lei non lo vide mai, rinchiusa là dentro. Vide però il volto spettrale dell’autista, bagnato e feroce come una belva impazzita. Tentò di urlare, ma il buio e la mano dell’uomo le soffocarono le urla in gola.

L’ho visto come guardi quel finocchio del bagnino. Come gli sculetti vicino sperando che ti tocchi, vero piccola puttana? L’ho visto come vorresti farti montare da quello smidollato?

Un altro fulmine illuminò quell’abisso in pezzi di luce morente. La mano continuava a toglierle il respiro, il volto dell’uomo era vicinissimo al suo. Era terrorizzata. Disperata. Era distrutta.

Adesso tolgo la mano e se urli ti prendo a pugni. Hai capito?

La testa tentò di fare sì, ma la mano l’immobilizzava con troppa violenza.

Non appena l’uomo la liberò dalla morsa callosa una lingua viscida e invadente la soffocò peggio di quel palmo schifoso che la schiacciava. Fu allora che pianse e sentì freddo.

Mentre la lingua dell’uomo frugava frenetica nell’alcova della sua giovinezza lei pianse. Senza singhiozzi o sussulti, lasciò solamente scorrere delle lacrime, amare, come una madonnina, immobile.

Una mano le spingeva la spalla contro il muro mentre l’altra si agitava frenetica in un punto non ben individuato del corpo dell’uomo. Solo il gomito, che picchiettava contro il corpo della ragazza, le faceva capire che l’altra mano non era su di lei.

La lingua, impazzita come la calda coda di una lucertola staccatasi dal corpo del rettile, le riempiva la bocca di saliva capperi fumo e violenza. Ad un tratto, come un palloncino che si sgonfia, il conducente staccò la sua schifosa bocca, poggiò la fronte sulla spalla libera della giovane ed emise un gorgogliare rauco e soffocato. Si risollevò, mentre la ragazza con gli occhi spalancati sul buio denso della cabina riprendeva fiato. Le cercò, tastoni, la guancia e gliela accarezzò con una dolcezza robotica degna dell’animale che era. La ragazza tremava.

Avvicinò di nuovo le sue labbra a quelle di lei, che sussultò di terrore.

Se lo dici a qualcuno ti ammazzo. E poi che sarà mai, è solo un bacio. Chissà quanti ne avrai baciati di maschi, vero puttanella? e rise, diabolico. Se ne andò lasciando la porta della cabina aperta e non temendo nè il buio, nè l’acquazzone, nè la collera degli anziani.

Piangere fu l’unica cosa che le riuscì di fare. E ad ogni fulmine i singhiozzi aumentavano di intensità e disperazione.

Dopo un tempo che sembrò eterno si sentì sfiorare da una mano. Sobbalzò elettrizzata dal terrore. Urlò.

No ti prego, no. E pianse rannicchiata a terra.

No, ti prego, no.

Una mano l‘accarezzò.

Lasciami stare, ti supplico.

La mano la sfiorò ancora più delicatamente.

Vattene, vattene, vattene.

Il buio concesse un secondo di libertà ai suoi occhi. La vecchia sordomuta, fradicia, le era seduta accanto. La sollevò per un polso, delicatamente. Le fece poggiare il viso sul suo petto, poi, mentre le accarezzava la testa, si mise a piangere. Anche lei.



L’acquazzone terminò, ma la luce non si decideva a tornare. I vecchi si divisero in squadre per sistemare il disastro creato dal temporale. Il trans, una vecchietta fragile fragile e la cicciona dall’occhio storto entrarono nella loro cabina.

Mamma mia che temporale incredibile, mi sono presa uno spavento. Per un attimo temevo che uno di quei fulmini potesse colpirmi.

Ormai neanche i fulmini ci filano più, vecchia mia, disse l’exuomo.

In tutta la mia vita non avevo mai visto un temporale così, sembrava che l’estate fosse terminata.

Il trans la fissò e se solo non ci fosse stato tutto quel silicone sulla sua faccia si sarebbe capito che era serio, quasi solenne.

Per noi è finita da tempo, mia cara, l’estate. Quando ti rendi conto che il mondo è uno schifo, e io ne so qualcosa, ecco… quando finisce l’estate.

Nella cabina di fianco, per terra, una vecchia sordomuta e una bambina di quattordicianni, abbracciate, entrambe bagnate dalla pioggia e dal dolore, piangevano, dondolandosi sommessamente.

[...finisce qui e su IL PRIMO BACIO FA SCHIFO]

Thursday, May 17, 2007

Quando finisce l'estate 2

[Ovviamente ho omesso apposta, per poterlo dire adesso, il fatto che la magnifica illustrazione che accompagna il mio racconto è di Antonio Bruno e la trovata come apertura del testo all'interno del libro. Vi dirò che quando Antonio mi ha mostrato l'originale dicendomi: Ecco questa è la tua storia!, rimasi esterefatto...
Pensai: Dev'essere una bella storia, allora!!!
Poi mi ricordai che era la mia e apprezzai lo sforzo di antonio che come il ritrattista da strada che vive di volti cerca sempre il lato migliore di una persona, non per filosofia, ma perchè altrimenti rischia, mostrando la verità, di non essere pagato!!!
Vi lascio alla seconda parte del racconto, spero vi piaccia!]


Il vecchio trans uscì dalla sua cabina con una smorfia sul viso che lo faceva sembrare un clown triste. Si diresse verso il gabbiotto della direzione e chiese che chiamassero subito un’ambulanza. Molto tempo dopo, con la sua incurabile malizia, racconterà che mentre gli stava facendo un servizietto coi fiocchi, il vecchio non gli va a morire di crepacuore? Almeno è morto felice! O se proprio felice non era, arrapato di sicuro. Quel giorno la vecchia sordomuta strinse forte i pugni a forma di corna, ma non li agitò. Lo lasciò lungo i fianchi. Il vecchio indi sorrise benevolo con la testa che gli faceva quello strano streaching: destra sinistra, destra sinistra …

Il secondo giorno fu un tantino diverso. Sul pullamann c’era un anomalo parlottare.

E chi è questa bella bambina, fece la vecchia seduta sul sedile di fronte. È la mia bella nipotina, rispose con inesauribile grinta la nonna. Ti piace il mare? Chiese la vecchia.

Mi piaceva, prima di esserci venuta con voi, avrebbe voluto rispondere la piccola, ma chinò solamente il capo in segno d’assenso. Timida, continuò la vecchia strizzando l’occhio alla nonna. Timida un cazzo, avrebbe aggiunto la giovine, ma non era il caso. Al lido, dopo l’appello, il parlottare non era cessato. C’era una certa agitazione fanciullesca tra i vecchi. Senza che le avesse chiesto nulla, la nonna le si avvicinò all’orecchio e le disse che una di loro era sposata con un indiano, un brahamino dicono, e stavano cercando di convincerlo a fare un po’ di yoga al gruppo in questi giorni. Così per animare le giornate. La bambina si guardò intorno e lo vide subito. Si chiese come mai non lo avesse notato prima. Aveva il tipico aspetto del guru: schiena eretta, mento alto, camminata pacata e sorriso alla monnalisa sempre stampato in faccia. E quel dondolare della testa stranissimo: destra sinistra, destra sinistra… come se non potesse fermarsi o il mondo sarebbe stato distrutto. Un gruppetto di anziani troppo bianchi gli parlava confusamente. Lui faceva sì con la testa, ma non sembrava ascoltarli veramente. In spiaggia, qualche ora dopo, arrivò l’allegra notizia: dal giorno dopo, ogni mattina, alle 9 avrebbero fatto una lezione di yoga. Ci fu un applauso di gioia.


La vecchia sordomuta agitava le mani al cielo come un’indemoniata, mentre un’anziana signora le sorrideva e diceva a tutti che la capiva, anche senza conoscere il linguaggio dei sordomuti. Vedete, adesso dice che il cielo è bellissimo, azzurro azzurro. La vecchia sordomuta rispondeva con le corna e la vecchia sorrideva.


In riva, sul bagnasciuga, l’unica ragazza del lido stava leggendo un libro per ragazzi di cui, da lì ad alcuni anni, non ricorderà più nè titolo nè trama. Il vecchio trans le si avvicinò guardando di sottecchi la nonna della ragazzina che spettegolava lontana con altre mummie della parrocchia. Che stai leggendo le chiese con quella voce distorta. Niente di speciale, rispose la piccola senza alzare gli occhi dal libro per timore che la nonna la sorprendesse a parlare con “la spudorata”.

Ma non te ne sei accorta?, continuò l’exuomo.

Di cosa, si accigliò la giovine tenendo sempre fisso lo sguardo sul libro.

Stai tranquilla, tua nonna è impegnata a raccontare i fatti di una vicina un po’ losca. Non si accorgerà che stiamo parlando.

La ragazza sospirò, appena. Chiuse il libro e chiese di cosa non mi sono accorta?

Di come ti guarda! E il trans rise nel suo modo sguaiato e teatrale. La ragazza si voltò verso la nonna per timore che la risata avesse attirato la sua attenzione, ma era troppo lontana e distratta.

Ti lancia certe occhiate!

Ma chi?

Come chi? Il bagnino!

Il bagnino?

Proprio lui! Si vede che sei ingenua, ma io certe cose le capisco subito. Non gli sei indifferente! Dovresti andare a conoscerlo, magari, chissà… potrebbe nascere qualcosa?

Qual… cosa?

Qualcosa! Una storia d’amore, un flirt, una botta e via, qualcosa!

La ragazza arrossì visibilmente. Guardò verso la nonna che si sarebbe sicuramente arrabbiata se avesse scorto il rossore sul suo viso. Ma era troppo presa dai pettegolezzi.

Non sei mai stata con un ragazzo, vero? Chiese l’exuomo.

Ho solo 14 anni!

Ebbé? Che significa? Il problema non è l’età, e in questo le amiche della ragazza erano una prova inconfutabile, il problema è se il sentimento c’è o meno? Se ti piace bene, altrimenti pazienza! E si alzò ridendo e tremolando col seno.

Il mare era piatto. Il libro era diventato, improvvisamente, ancora più noioso di prima. Il bagnino in riva fissava l’orizzonte immobile anche se in acqua non c’era alcun bagnante. Le onde gli lambivano i piedi. Il blu del mare era stupendo. La t-shirt rossa del bagnino sembrava la pupilla di un occhio gigante e alieno. Passò così il terzo giorno, contemplando sul bagnasciuga.


Tutti i vecchi, in file sparse, sotto il sole del primo mattino sembravano musulmani in adorazione del mare. In ginocchio davano leggeri colpi con la fronte alla sabbia. Il vecchio indi insisteva con quell’esercizio con un’austerità notevole. Il vecchio col bastone, proprio dietro l’uomodonna, fissava il prominente culo sghignazzando. La vecchia sordomuta quel giorno non avrebbe avuto di che lamentarsi: era a casa perché la sua accompagnatrice aveva da fare e non avrebbe potuto portarla al mare. Non vide così tutti quei vecchi con in fronte una pennellata di sabbia e sudore.

Forse quella storia dello yoga non era da sottovalutare. Grazie a quell’ora di ridicoli esercizi i vecchi rimanevano impegnati in massa e non avrebbero dato noia alla ragazzina. E mentre questa si dirigeva al mare per una sana nuotata in tranquillità scorse uno sguardo complice del trans che in ginocchio, in posizione di supplica, le strizzò l’occhio. Sicuramente era un invito a seguire i suoi consigli del giorno prima. La giovane ignorò il messaggio cifrato e si avvicinò alla riva. Saggiò l’acqua del primo lembo di un’onda pigra con un piede e rimase di ghiaccio.

Ma non per la temperatura. Il bagnino vicinissimo a lei la guardava sorridendo.

E tu non vai a fare yoga le chiese.

Yoga?

Gli esercizi che stanno facendo gli altri!

Ah! No! Preferisco farmi una nuotata.

Ben detto, brava! Sospetto che il vecchio indiano li stia prendendo in giro. Ho fatto yoga per un po’ e non ho mai visto esercizi del genere.

Lei ha fatto yoga? Balbettò la ragazza con il piede bagnato ricoperto da una calzetta di sabbia e l’altro asciutto.

Lei? Lei chi?

Lei!

Io sarei lei? Mi fai così vecchio? Guarda che ho appena 19 anni!

Ah!

Comunque non volevo disturbarti, stavi andando a farti una nuotata.
Ma lei non mi disturba, cioè tu non mi disturba, volevo dire disturbi, n – o – n mi disturbi. Sospirò esausta.

Ok, a dopo allora!

A dopo rispose la giovane e si tuffò in mare senza saggiarne la temperatura, come invece avrebbe fatto. L’acqua gelida la schiaffeggiò. Si sentiva bollente. Come se avesse la febbre. Come se avesse preso un’insolazione. Immaginò, sottacqua, lontana dalla vista della nonna del trans del bagnino del guru e degli altri vecchi, che l’acqua intorno a lei stesse evaporando per il calore che emanava del suo corpo. Riemerse inspirando tutta l’aria e il sole che poteva. Solo tre giorni e sarebbe tornata alla sua vita, alle sue estati e quest’assurda settimana sarebbe stata accantonata nel ricordo. Forse pure dimenticata. La nonna la chiamò e lei ritornò a riva. La lezione di yoga era finita, servivano altre distrazioni. Come per esempio raccontare qualche cagata alla nipotina.

E così fu. Mentre la nonna le raccontava degli esercizi, dovresti provare pure tu, lei le guardava i granelli di sabbia fra le rughe, ti divertiresti da impazzire, e notò che tutti avevano granelli di sabbia fra le pieghe del viso, stai sempre zitta e sola, e questo gli sembrò un presagio di morte, sei sempre cupa lo yoga ti farebbe bene, come se quella sabbiarappresentasseildegradodiqueicorpigiuntiallafine, io mi sento ringiovanita, come se quella sabbiarappresentasseillentosgretolarsidiognicosa di ogni vita, domani perché non ci fai un pensierino per la nonnina, anche della sua.

Qualcuno scorreggiò.

Ma i vecchi fecero finta di niente.


Il quarto giorno erano in ritardo, il conducente imprecava mentre cercava di mantenere un’andatura sostenuta senza sballottare troppo il carico di terza età indignata che aveva dietro. Quando scesero al lido ci fu un borbottio generale per la guida e il ritardo. La ragazzina scese per ultima come sempre. Si sentì osservata. Sulla spiaggia il bagnino stava sistemando le ultime sdraio. L’uomodonna gli zompettò subito incontro festosa, sbattendosene altamente dell’appello. E dell’età.


Il ritardo non impedì di fare, comunque, la lezione di yoga. Quel giorno il sole non estiveggiava come si sarebbe convenuto ad un sole mediterraneo. C’erano nuvole gelide in alto, ma nel complesso non si stava male, non faceva caldo, tutto qua. La nonnina, spalleggiata da altre tre anziane, tentava di allettare la nipotina a praticare lo yoga. Niente da fare, non le andava. L’indi dalla testa tremolante troneggiava davanti una schiera di determinato e blando vecchiume. Nei loro occhi c’era una serietà da atto finale. Credevano davvero nell’importanza di quelle poche lezioni. Prima di cominciare, il maestro, l’unico abbronzato del gruppo senza esposizione al sole si sfilò una collanina lunga lunga che teneva sotto il sari. Si rivolse alla ragazzina e le chiese di riporla nella sua borsa, sotto quell’ombrellone là. La giovincella si accorse che il bagnino la guardava, perché anche lei si era ritrovata a guardarlo, di sottecchi. Aprì la borsa del guru di parrocchia e posò la collana lunga lunga, e anche alquanto femminile, all’interno della sacca in paglia. Dentro c’era un libro molto grande: Il vero Metodo Pilates. Cose indiane, sicuramente. Richiuse la borsa e corse in acqua. L’impatto con l’acqua gelida le toglieva di dosso quel torpore senile che infestava la sua mente.

Osservò i vecchi fare yoga dal punto più lontano che riuscì a raggiungere nuotando. L’ondeggiare gl’imponeva una visione a scatti rendendo quei corpi di pergamena e fragilità ancora più grotteschi. Non vedeva il bagnino, per fortuna. Essendo l’unica in acqua avrebbe dovuto guardarla, anzi no, fissarla. Nuotò fino a stancarsi e si fece trovare sotto l’ombrellone prima che la lezione di yoga terminasse. Un vecchio, quello senza dentiera, poveretto, quello che Don Antonio stava aiutando e per il quale elemosinava di tutto, la invitò a giocare a bocce. La ragazza accettò di buon grado e decise, dentro di sè che avrebbe lasciato vincere il suo sdendato sfidante. A modo suo avrebbe perorato la causa di Don Antonio.

Ma quando il vecchio bocciofilo si stava per accingere a concludere la partita, dopo una fatica immensa fatta dalla ragazza per perderla, delle urla gli bloccarono la palla tra le dita nodose. Il vecchio, mancato vincitore dell’unica partita di bocce concessagli in quei giorni, voltò il capo verso la spiaggia con una lentezza irreale. La ragazza, invece, si tuffò in acqua con una prontezza di cui non seppe mai spiegare l’origine. Né capì mai perché non avesse cercato il bagnino piuttosto. Raggiunse la signora che vantava di comprendere la sordomuta proprio mentre stava bevendo l’ennesima sorsata di mare e paura. L’avvinghiò e tentò di trascinarla a riva, ma due mani le afferrarono entrambe per le ascelle tirandole su. La vecchia dal potere della comprensione delle lingue, anche di quelle non parlate, era stata disorientata da un’onda e, presa dal panico, aveva iniziato a bere acqua agitandosi senza soluzione. La ragazza l’aveva raggiunta e trascinata per due metri circa, ma arrivarono il vecchio col bastone e l’indi a tirarle su. Non erano poi così lontane dalla riva.

Dopo che l’anziana annegata si riprese sputando acqua salata e imprecazioni in un dialetto d’antico sud e la giovane baywacther comprese che sarebbe bastato raggiungere la donna camminando per poi trascinarla puntando i piedi, tutti, ma proprio tutti (si sa quanto attirino la folla incidenti del genere) si chiesero dove fosse finito il bagnino.

Lo trovarono in un angolo ai margini del loro compattissimo gruppo (che senza volerlo stava asfissiando la mancata annegata serrandola in un bozzolo di corpi decrepiti). Aveva due occhi così rossi e semichiusi che sembrava avesse dormito poco e male e si fosse appena svegliato. Chiese scusa, a voce bassa. Ero in bagno. E mentre la vecchia sordomuta gli faceva le corna, qualcuno disse mi sente Don Antonio stavolta, qualcun altro drogato, molti invece ruminarono solo borbottii incomprensibili.

A tavola la ragazza fu oggetto di discussione. Ma fu la nonnina a prendersi le lodi.

Ma che brava nipotina che hai.

Lo so, lo so.

Bella e brava, si vede che è stata educata bene.

Ovvio è mia nipote.

Brava è dir poco, anche coraggiosa, mica come quel rammollito che si spaccia per bagnino.

Ha preso tutto dalla nonna. Da giovane ero come lei: silenziosa, ma operativa. Quando ce n’era di bisogno.

(silenziosa un bel paio di palle, vecchi maledetti, masticava tormentata la ragazzina)

Il sangue è sangue.

(e il vomito è vomito, pensava ascoltando quel delirio da ospizio).

Il bagnino serviva ai tavoli con in volto un’espressione da castigato. Faceva quasi pena. Gli anziani, era evidente, lo ignoravano apposta. Anzi facevano, come al solito, ma quella volta di più del solito, commenti sui giovani e sulle loro inefficienze. Un anziano iniziò pure un dibattito sugli atti di vandalismo dei giovai d’oggi e prese ad esempio una frase intagliata sul legno del tavolo. E lo disse ad alta voce proprio mentre il bagnino gli portava il contorno di verdure.

Quando fu ora di sparecchiare la ragazzina diede una mano a portar via i piatti sporchi tra i complimenti delle vecchie per quell’ennesimo gesto di maturità. Si avvicinò al posto dove l’anziano aveva trovato la frase.


Il mio bacio era un melograno

profondo e aperto:

la tua bocca una rosa di carta.

G.L.


Chissà chi erano G. ed L. Chissà quando l’avevano scritta e perché.

Com’è un bacio come un melograno? Ma più di tutto: com’è un bacio? Di sicuro non avrebbe mai chiesto una consulenza a Samantha. Si voltò pensando queste cose, con il piatto sporco tra le mani e si ritrovò il bagnino davanti.

Anche tu ce l’hai con me?

Per cosa?
Non fare finta di niente.

Senti per me non è successo nulla. Peggio per te che dai ascolto a quello che dicono ‘sti vecchi.

Il ragazzo le prese il piatto dalle mani e le sorrise. Avvicinò la sua bocca all’orecchio di lei e le disse Grazie, piccolina. Poi le strizzò l’occhio e andò in cucina.

Quando tutte le vettovaglie furono portate via la giovane andò sotto l’ombrello, dove la nonna e la sua amica l’accolsero con ulteriori complimenti. Sorrise loro e si sdraiò a prendere il sole. Si sentiva stanca. Le dolevano le braccia di pesantezza e formicolio. Tentò di rilassarsi isolandosi dai rumori attorno a lei. Il bagnino le si avvicinò, lentamente, al viso. Era tutto bagnato e ansante. Aveva nuotato senza togliersi la t-shirt e adesso il rosso della maglia era più vivo che mai. Sembrava sangue in una busta lucida da trasfusione, come le sue labbra che si avvicinavano a quelle di lei e come i suoi occhi, rossi e alieni. Sentì la nonna che le sibilava nell’orecchio spudorata. Qualcuno rideva sguaiatamente. L’uomodonna, di sicuro.

Si svegliò di soprassalto. Sudata fino all’inverosimile. Si guardò attorno agitata. La nonna, sulla sdraio, sonnecchiava decorata da un rivolo di bava colante dalla bocca. La gola era arida e il respiro infuocato. Si toccò la fronte, calda e bagnata, e scostò i capelli appiccicati. Il cuore le batteva forte, perché in mezzo a quel sudore, in basso, tra le pieghe degli slip del costume … c’era qualcos’altro, di più bollente e bagnato.

[...continua qui e su IL PRIMO BACIO FA SCHIFO]