Wednesday, July 16, 2008

.:Areamag - P. Squilloni :.

Ma che storia è questa qua?

Con il classico scorrere su e giù per le pagine del loro Myspace alla ricerca di informazioni più o meno interessanti, ci cade l’occhio su di una scritta: “Tipo di etichetta: Nessuno”. Conseguente stupore inevitabile. I romani areamag (rigorosamente minuscolo, non è un refuso) hanno già autoprodotto due demo, l’omonimo “areamag” del 2004 e “L'Omino e altre Storie”, dello scorso anno ma ancora in fase di lavorazione. E non uno straccio di contratto discografico. Chissà se sono mai passati da quelle parti, chissà se si sono accorti della qualità della musica che propongono. Chissà se l’hanno voluta ignorare. D’altronde le storie che raccontano parlano proprio di questo: l’indifferenza.


Avete presente Tom Waits? L’incedere sghembo delle sue canzoni più aliene? Nani e ballerine, orfani e bastardi, personaggi assurdi, di una vita che appare come un’esistenza in un circo. Che sembra lontana, ma è tremendamente vicina, delirante. Con un mantello grottesco a ricoprire ogni cosa, anche quelle musiche apparentemente disimpegnate. Allora eccoli emergere nell’amara e lucida filastrocca di “Tombino”, che narra le vicende divenute normalità della vita nelle fogne dei bambini orfani di Bucarest. Ecco, quando l’orrore diventa normalità loro ne raccolgono le macerie di una tempesta sotterranea e ne plasmano canzoni che colpiscono per il loro notevole impatto emotivo. Canzoni capaci di accendere più di qualche neurone. Viene subito in mente, tanto per restare dalle nostre parti, il Vinicio Capossela più ossessivo, ispirato e colto. Pianoforti e violini ritmati che si aprono in arie cupe o più melodiose. Con un gusto teatrale che appare evidente anche nelle foto delle loro esibizioni dal vivo. E dimostrano anche che quando vogliono giocare con i loop, omaggiati perfino nel titolo di una canzone, “LoopUS in Fabula”, ci sanno fare.

Quello di cui vogliamo parlare non è la recensione di un loro disco (più precisamente di uno dei loro due demo), visto anche il loro manifesto programmatico di “progetto cantautoriale e d’improvvisazione”. Risulta così più interessante scrivere della totalità della loro proposta creativa, senza tralasciare il non trascurabile fatto che è possibile ascoltare solamente cinque canzoni. Considerando poi che la scintilla che li ha fatti nascere, l’impulso vitale che li muove e il terreno dove seminano le loro storie e ne ricavano gemme pop, nel senso più nobile del termine, arde nella dimensione concertistica, nella quale amano stravolgere con chitarre, loop e violini le loro canzoni, sembra spontaneo parlarne con uno sguardo più ampio.


In questa febbricitante emergenza espressiva e comunicativa si capisce subito che la loro forza risiede nelle parole, mai banali. Ma le loro musicalità traballanti non sono di certo rilegate a mero sottofondo, quanto piuttosto degne accompagnatrici di storie consumate nell’ombra quotidiana. E a loro volta le loro metriche si incastrano perfettamente nelle atmosfere dilatate, eteree o inquietanti che siano.

Ti prendono per mano e ti portano nel loro mondo di emarginazione sociale e solitudine.


Un’avventura affascinante e sicuramente interessante. Li aspettiamo alla classica prova del disco.


Voi scrivetegli, cercate i loro demo, scovateli nei concerti.

Piergiacomo Squilloni

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