Friday, November 30, 2007

ANTONELLA BECCARIA

Bologna dorme. Dorme il sonno dei giusti, ha lavorato tutto il giorno, la lavorazione del tortellino è estenuante. Poi c’è il brodo… Bologna dorme sulle prime colline. Nel parco ciondolano pacifici rotwailer. Forse non basteranno a tenere alla larga le bande di slavi, ma se un giorno si svegliano male mangeranno mezza faccia a un nipotino. Per la gioia dei cronisti di Studio Aperto che si consoleranno in mancanza di bande di slavi stupratori. Bologna sta in alto, è infastidita dai suoi bassi. Cocci di bottiglia, tossici in Via delle Moline e in tutta la zona universitaria. Brutta gente. Studenti che ostentano dialetti meridionali. Cazzeggiano fin dal primo pomeriggio, un eterno happy hour, un insulto a chi si fa il culo. Forse il contratto (contratto???***###) d’affitto prevede solo il pernotto. Bologna è assopita, dorme sul bancone del bar, con un occhio aperto e uno chiuso, cartola da cow boy spaghetti western. Bologna parcheggia in tripla fila, parla di basket, prima che la noia l’ammazzi scappa in riviera. Milano Marittima è a quaranta minuti, trentacinque in Porsche Cayenne. Bologna non corre alle presentazioni dei libri di Antonella Baccaria. Nemmeno uno straccio di TG 3 Regione a riprendere o a segnalare l’evento della Libreria Irnerio. Figurarsi E-TV, Telecafarra. Meglio ostentare giovani noiristi che impallidirebbero alla vista di un assorbente usato.
Perché Antonella Beccaria è una rompicoglioni da sempre, ha precedenti. Comunque è meglio non scomporsi, meglio non darsi pena, è bene non considerarla, dirigere l’occhio di bue altrove, scioglierla al sole, secondo il "metodo Gabanelli". Ha precedenti la Beccaria, dicevamo, ho controllato in questura. Prima ha rimesso il naso nella storiaccia dei Bambini di Satana, ha preso le parti di Marco Dimitri. Che non è esattamente il nipotino ideale di Nonna Bologna. Il nipotino di Nonna Bologna ha fatto Economia e Commercio o Giurisprudenza e non ha mai frequentato quegli sfigati dei fuorisede. I rotwailer, Dimitri, non se lo leccherebbero nemmeno, mostrerebbero i denti prima di allontanarsi tra gli alberi ad alto fusto. Il cardinal Cafarra piange quando sente odore di sette sataniche, la Madonna di San Luca, pure. Il Carlino se la ride, tiene sempre pronte le foto con le donne incappucciate con le tette di fuori. Opinionisti in eterna erezione pronti a penetrare buchi dell’informazione.

Ma la Beccaria capricciosa esonda e scava ancora sotto Piazza Maggiore. Stavolta punta i piedini sulla banda della UNO BIANCA. Cari ragazzi, poliziotti con il doppio lavoro che sul finire dei favolosi anni Ottanta seminano 24 morti, si, ma poco alla volta, mica in un unico fuoco d'artificio. Ma Bologna oggi è stanca di tutto e non ha la forza di girarsi indietro, come non avesse ferite da leccarsi . Ha digerito tutto. Il lesso e le salse della domenica a pranzo. I creativi del ’77. I cantautori. Figurarsi la banda dei Savi, perfino gente come Mancuso oggi faticherebbe a ricordare, volge lo sguardo altrove. Anche il lavavetri è un bel rompicoglioni. Ma meno che la Beccaria. Savi giocava nel Bologna di Savoldi? Bologna è piena di giovani noiristi da fiction di prima serata. Comunque è meglio affidare a loro la gestione delle nuove paure. Per dimenticare i vecchi fantasmi.

http://www.stampalternativa.it/libri.php?id=88-7226-929-6


http://www.stampalternativa.it/libri.php?id=978-88-6222-006-4


http://antonella.beccaria.org/


Saverio Fattori

Tuesday, November 27, 2007

Thursday, November 22, 2007

Poesie Senza ADSL - stiamo tornando

[Come dice John Lennon: La vita è quello che ti capita mentre stai facendo altri progetti. Nel mio caso, anzi per quel che riguarda il progetto POESIE SENZA ADSL, mai frase fu più vera. Avevo pensato di riprendere il progetto, con un maggiore lentezza, subito dopo la pausa estiva, per poi annunciarvi ciò che sto per annunciare, ma la vita mi ha fregato proprio mentre progettavo tutto ciò!

Così, dopo un silenzio durato mesi, riprendo a parlare di poesie senza adsl, e vi annuncio che a DICEMBRE uscirà il libro!!!

Qualcuno lo sa già da tempo, qualcunaltro se l'aspetta, altri ancora staranno rosicando per l'annuncio!

Peccato non possiate vedermi mentre scrivo: ho una tale faccia compiaciuta che farei venire i nervi pure a Padre Pio!

Godetevi il video che parla proprio delle poesie e rimanete in stand by ... perchè stiamo tornando e saremo molesti e ubriachi, come sempre!]

Monday, November 19, 2007

la mia realtà

Stillo a fatica

mattoni colorati

per costruire i miei sogni.

Insisto

come un rubinetto che perde

ad inondare la città.

Poi l’autobus frena,

dispotico

e tra gli sbuffi

e le nevrosi dei passeggeri

alzo la testa da mio libro

e respiro,

sornione,

la mia quiete.

g

Wednesday, November 14, 2007

Bandog - cani da presa

Bruno & Moretti sono diventati soci.
Questo video mostra alcuni dei personaggi
del romanzo spavaldo cui stanno lavorando insieme.
E' più di un'anteprima. Significa che stanno lavorando forte.

Sunday, November 11, 2007

la lingua del disagio

La scabbia
é la lingua – perfetta –
dei cittadini della miseria.

Caino
- il monarca democratico –
propone acari a go gò
agli apolidi dell’amore
per grattarsi via
la rabbia.

Ed io
che ho prurito sulla lingua
mi sento un cugino
disperato
parente prossimo
poco conosciuto

che comprende la lingua,
ma non lo parla
tanto
da farsi capire

né da loro
né dai fratelli,
sedicenti.

E quando pesto
una merda per strada
mi chiedo perché
dovrei sentirmi
ancora
più
fortunato.

Monday, November 05, 2007

Mauro Rostagno - Raccolta Firme

CIAO MAURO - RACCOLTA FIRME

Importante ed urgente. Entro il 20 novembre vogliamo raccogliere 5000 firme per chiedere la riapertura del caso Rostagno!
FIRMA ANCHE TU!
Stampa il file PDF allegato con la lettera alle istituzioni e il modulo per la raccolta delle firme, firma in originale (se vuoi e puoi, fai anche firmare..), spedisci per lettera, entro il 20/11, il modulo firmato a:
Ass. Saman - Lenzi, via Baglio Quartana, 40 - 91010 Lenzi di Napola (TP)

COMUNICATO STAMPA DEL COMITATO PROMOTORE:
DA TRAPANI UN APPELLO ALLE ISTITUZIONI
CHIEDIAMO LA VERITA’ SULL’OMICIDIO DI MAURO ROSTAGNO

Sono passati ben 19 anni dalla morte del giornalista e sociologo Mauro Rostagno, ma ai cittadini è stato finora negato il diritto di conoscere la verità su quell’omicidio.

19 anni di indagini senza alcun risultato,
caratterizzate da errori, omissioni e depistaggi;
con il gradimento da parte di quei poteri occulti
che hanno scelto di togliere di mezzo Mauro Rostagno
perché la sua attività dava fastidio.

Nei giorni scorsi, il Capo della Squadra Mobile si è detto convinto che, nonostante il tempo trascorso, sarebbe possibile giungere alla verità sull’omicidio Rostagno ,“qualora fosse costituito un gruppo di validi investigatori, dotati delle necessarie risorse, a cui venga assegnato il compito di svolgere indagini specifiche”.

E’ stato detto senza scanso di equivoci che basta un ordine della magistratura, l’impegno degli uomini politici e la richiesta della società civile.

Per questo chiediamo alle più alte cariche della nostra Repubblica,competenti per ruolo istituzionale, che queste parole vengano valutate attentamente e si faccia ciò che non è stato fatto sino ad oggi.

Rivolgiamo un appello alla politica e alla magistratura
affinché si faccia uno sforzo per fare di più e meglio.
Per ridare ai cittadini fiducia nelle istituzioni repubblicane.
Questa è la nostra volontà.
Questo è il nostro sogno.


Promotori:
Ass. CIAO MAURO - ARCI Circolo Agorà - Arciragazzi Ass. La Mongolfiera - Ass. CITTA’ FUTURA - CGIL - ASSOCIAZIONE DELLA STAMPA Trapani - BASKET TRAPANI - FEDERAZIONE ITALIANA NUOTO Prov. Trapani – FEDERAZIONE ITALIANA PALLAVOLO Prov. Trapani - LIBERA Associazioni nomi e numeri contro le mafie - MeetUp Amici di Beppe Grillo Trapani - Ass. SAMAN

Saturday, November 03, 2007

GENERAZIONE PERDUTA (SCENA II)

Un altro pedante esperimento. Sempre nella speranza che al di là dello scenario atletico sportivo si riescano ad innescare "meccanismi altri". Un altro pezzo uscito su Correre di Novembre, che non parla di programmi di allenamento, maratone di new york buone per le agenzie di viaggio e di quanto è bello correre in compagnia e tenere il colesterolo basso. Sempre nel torbido. Dove mi trovo a mio agio.



Attaccate alle pareti ho foto incorniciate da metallo satinato. Immortalano atleti che hanno avuto carriere sfortunate e incomplete. Potenzialità inespresse. Negli anni ho raccolto e catalogato materiale: fogli di classifiche, giornali, riviste federali. Ho diversi album dove attacco foto e articoli sportivi. Si riferiscono ad atleti funestati da infortuni e a giovani promettenti dispersi. Le ragioni che hanno portato a questi piccoli fallimenti mi sono ignote. Mi limito a constatare il fatto che nessuno di loro è arrivato a vittorie olimpiche o mondiali. Spesso nemmeno alla maglia azzurra della nazionale, nonostante avessero manifestato indubitabili sintomi di talento puro.
Un ragazzo di Ferrara aveva saltato in alto due metri e un centimetro nella fase nazionale dei Giochi della Gioventù. Aveva quattordici anni. Oggi sarà grasso o mediamente attrezzato per squallide partite di tennis fra colleghi. Forse un infortunio avrà placcato i suoi sogni. Forse l’irritazione per quegli allenamenti meticolosi avrà colliso con la disordinata esuberanza dell’età inquieta. Forse l’alibi sarà stato quello dell’impegno scolastico che i genitori consideravano prioritario. L’atletica doveva essere solo una piccola distrazione, una fase di passaggio, una fissazione transitoria da gestire a livello amatoriale. Poco importa se alla resa dei conti quel figlio non ha dato nessuna soddisfazione, se non ha costruito nulla che l’abbia fatto emergere da un’anonima mediocrità. Escludendo quel risultato ottenuto a quattordici anni. Quell’asticella che aveva vibrato alcuni secondi per poi fermarsi sui ritti, composta. I suoi balzi gioiosi sul materasso avevano richiamato il professore di educazione fisica, che lo aveva accompagnato a Roma. Si erano abbracciati, la gara era vinta, il secondo si era arreso all’1.95. Non aveva tentato misure superiori. La concentrazione era saltata in aria a contatto con quella gioia. Peccato. Probabilmente quel pomeriggio di autunno aveva nei tendini almeno un 2.05. Dopo quel risultato si era reso necessario il passaggio al tesseramento per una società prestigiosa e attrezzata. Il suo nuovo tecnico era certo che con una preparazione mirata, nel giro di un paio d’anni avrebbe raggiunto il muro dell’eccellenza, allora identificabile con i 2.20. Il suo stile era rozzo, il passaggio sull’asticella un gesto acrobatico spettacolare poco coordinato. Ogni salto era diverso dall’altro, acerbo e intuitivo. In quell’inverno in palestra c’erano solo da mettere a punto gli automatismi della rincorsa e dello stacco, il resto sarebbe venuto da quella reattività tendinea che nessun allenamento poteva donare, e di cui la natura l’aveva dotato. La tecnica doveva solo incanalare quella forza, ridurre al minimo le dispersioni. Quel talento raro era stato misteriosamente trasmesso dai genitori, che oggi tendevano a sedare i sogni del figlio. Erano piccoli proprietari terrieri, e quell’unico figlio maschio era necessario in campagna. Il padre, lavoratore infaticabile, aveva ingravidato la moglie quattro volte senza che i fianchi della donna esondassero grasso.
Il giovane saltatore a ottobre aveva iniziato a frequentare un istituto agrario fuori città. Tornava a casa nel tardo pomeriggio, in tempo solo per i compiti, per la cena e per coricarsi. A dicembre avrebbe definitivamente abbandonato gli allenamenti, nonostante le insistenze dei dirigenti della società che avevano parlato con il padre. Il vecchio contadino aveva fatto sedere in salotto il tecnico e il presidente del centro sportivo universitario. Nessuna ostilità, ma un pragmatismo padano che poteva sembrare ritardo mentale aveva gelato ogni speranza.
Questa specialità non richiede sostegni farmacologici. Nessuna integrazione chimica fa di un somaro da tiro un cavallo di razza. È tutta genetica e tecnica, ricerca della perfezione del gesto, della pulizia nell’esecuzione. Il fisico non deve mutare, deformarsi, potenziarsi. Nel salto in alto è sconsigliato l’uso di steroidi anabolizzanti. Sarebbe inutile e dannoso.
I saltatori in alto sono angeli fragilissimi. Il loro gesto richiede una potenza inaudita, ma si affida al tendine di una caviglia che si torce in un movimento innaturale. Sono atleti, esili, filiformi, altissimi, dotati di un’eleganza che attende solo di corrompersi nell’abbattimento dell’asticella. La loro elasticità ha del miracoloso.
Anche gli atleti che si dedicano alla gara degli ottocento metri sono a rischio. Un limbo tra la velocità e il mezzofondo, sempre in bilico su equilibri complicati. Un’ambiguità rischiosa che espone a gravi infortuni. Atleti fermi a bordo campo, legamenti spezzati, volti deformati dal dolore.
Percorrono vie crucis da uno studio specialistico all’altro. Esami clinici, radiografie, sedute fiosioterapiche. Fino all’intervento chirurgico. Ricostruzione di tessuto organico. Poi il logorante inferno della riabilitazione. Le prime corsette, la lenta progressione verso ciò che si era. Per riprendersi quello che spetta di diritto. La ricerca dello stallo migliore. L’eternità impossibile.
Il mezzofondo veloce è un’utopia. La preparazione deve essere perfetta, l’esistenza a prova di infrangibilità. Non possono intervenire fattori esterni a deviare il corso degli eventi, a complicare le scansioni di allenamento. Una fidanzata logisticamente difficile da raggiungere. Un congiunto bisognoso di cure domestiche per malattia a lungo decorso. Il mezzofondo veloce è perfezione e controllo. Ripetibilità e riproducibilità.
Ho cinque foto particolari, le più preziose, le mie favorite. Una sezione a parte, mezzofondisti veloci con i tendini a orologeria.
C’è un’immagine di un atleta italiano quinto alle Olimpiadi, una carriera martoriata dagli infortuni. Un’icona della sofferenza. Sta piangendo, ma non c’è ira, solo disperazione attonita per l’ultimo definitivo malanno. La tengo in salotto. Il giorno in cui l’ho appesa, Sara l’ha fissata per un attimo, poi ha fissato me, e non ha commentato. Come fossi un maniaco senza speranza, preda dei propri fantasmi. Sarebbe più sano avere l’immagine di un atleta vittorioso, a braccia tese verso il cielo prodigo di grazia. Il mio eroe urla per una lacerazione muscolare. È Donato Sabia, un ottocentista il cui talento fu pari solo alla sua fragilità.
Non conosceremo mai il potenziale di questi atleti, esseri umani eccezionali incapaci di ottenere il capolavoro definitivo, la vittoria olimpica o la prestazione cronometrica assoluta, quella teorica, in assenza di sfighe.
Sono molto grato agli ottocentisti.
Conservo perle fuori classifica. Goffredo Melogli tesserato per la Polisportiva Molise, nato ad Isernia. Se provo a immaginare il campo scuola di Isernia, alle fine degli anni Settanta, mi assale la tristezza. Il centro molle di una nazione cialtrona che non sa decidersi tra l’Europa e l’Africa. Il posto ideale dove il talento può sprecare sé stesso, marcire. Il solito professore di educazione fisica a dettare rudimenti di tecnica a un ragazzino miracolato, a definire i dettagli della rincorsa e dello stacco. Nel maggio del ’77, a diciassette anni salta in lungo 7metri e 52. Ci sono voluti quasi vent’anni perché un atleta di pari età lo potesse superare.
Chi lo ha migliorato è già una piccola star coccolata dai media. Nelle interviste sembra voglia imitare l’irruenza dei motociclisti ragazzini. Ha vari hobby, una vitalità incontenibile, suona in un complesso. Nato a Los Angeles e vissuto a Rieti, parla romano. La madre è un’ex ostacolista americana di valore internazionale che lo allena con competenza e petulanza. Pare predestinato a un futuro radioso. Ha ottenuto risultati di inconfutabile valore nella velocità, nei salti in estensione, con qualche puntata nell’alto e sugli ostacoli. Nel 2003 ha perso un anno per una sospetta microfrattura. Melogli invece è rimasto solo nelle liste all-time, dove vengono riportate le migliori prestazioni per categoria. Sono elenchi funesti, idiomi che paiono celare maledizioni, iscrizioni rupestri di altre ere. La madre di Melogli poteva essere una contadina lucana e il padre un ferroviere. Mi limito a fantasie, non ho svolto ricerche più approfondite. Mi piace immaginarlo come un ragazzo confuso, incerto sul futuro, uno che non vuole perdersi dentro un bar tra una volata in motorino e un superalcolico, e cerca di saltare lontano. Di saltare altrove.