Cominciò a piovere così, all’improvviso. Senza dare alcun segnale a nessuno. Nemmeno capitan findus avrebbe capito che una secchiata d’acqua gelida si sarebbe riversata su quella spiaggia, quella mattina, proprio nel bel mezzo della lezione di yoga. Sembrava uno scherzo preparato ad arte. Gli anziani, imperterriti, stavano tutti a panza all’aria battendo, a braccia tese, le mani verso il cielo, come se applaudissero a fine spettacolo. L’acqua piovana si riversò loro addosso proprio in quel momento come nelle migliori candid camera.
Inquadratura dall’alto.
Tentarono di alzarsi velocemente per non bagnarsi, ma ovviamente, nonostante il fiatone che s’impossessò di loro quando trovarono riparo sotto la tettoia, ci misero una vita ad alzarsi e a raccogliere le loro cose. Molti arrivarono a fine acquazzone. La ragazzina, in acqua, soppesò l’idea di continuare a nuotare immersa in quel meraviglioso spettacolo di grigioblu e pioggia impetuosa, ma poi l’immagine della nonna in riva che le urlava disperata di rientrare, come se fosse questione di vita o di morte, la convinse a rientrare. Giunta a riva non vide più la nonnina e si ritrovò avvolta da una tovaglia da mare. Alzò lo sguardo e incontrò il volto del bagnino.
Ti stavo aspettando. Su corriamo, raggiungiamo gli altri, sotto la tettoia.
La tovaglia da mare puzzava. Di muffa e fumo. Come la macchina del padre della ragazza quando diventava necessario portarla all’autolavaggio. Non l’aveva neanche sbattuta prima di mettergliela sulle spalle. Adesso tutti i granelli di sabbia che si trovavano nell’intreccio della tovaglia le si sarebbero attaccati addosso. E perché poi la stava coprendo. Era stata in acqua tutto quel tempo. Non si sarebbe bagnata sotto la pioggia. Era già bagnata. Piuttosto le si sarebbe tolto il sale dalla pelle. Invece, adesso, sabbiamuffafumoesale si sarebbero spalmati per bene sul suo corpo, grazie a quel deficiente.
Come nelle migliori tradizioni cinematografiche l’acquazzone lasciò, all’improvviso com’era esploso, il posto ad un sole splendente e ad un cielo azzurro azzurro e il mare sorrise placido come se non si fosse accorto di nulla, come quando i bambini uccidono le lucertole e te ne mostrano il cadavere, allegri.
L’acquazzone aveva raggiunto ogni cosa. I vecchi si ritrovarono ad un tratto in un mondo di cose fradice e appiccicate e trasformarono il lido nello stenditoio di un castello d’altri tempi stendendo l’impossibile ad ogni appiglio.
E come si divertivano in quel gioco senza regole, nè vincitori. Se ne tornarono a casa più contenti e rilassati degli altri giorni.
La cicciona di cento chili con l’occhio storto stava osservando la vecchia sordomuta gesticolare con la sua accompagnatrice ad una velocità tale che ai cento chili di vecchiume vennero in mente i film di Bruce Lee. Il vecchio sdentato si avvicino alle due ninja con un palla di bocce e imitò, sorridendo, il gesto di lanciare. La vecchia sordomunta sgranando gli occhi, sbuffò al cielo con le corna ben tese e se ne andò.
Neanche ai campi scuola estivi per i ragazzi si poteva trovare il delirio da ultimo giorno che i vecchi in questione avevano cominciato a produrre.
Un delirio al rallentatore, ovviamente.
Una frenesia costipata.
Un’entropia disabile.
Per concludere quella settimana era stata concordata una cena finale da gran gala estivo con tanto di presenza di don Antonio a presiedere al banchetto di fine vacanza. Era stato invitato pure l’autista del pulmann che tanto avrebbe dovuto restare ugualmente visto che l’orario di rientro, in via del tutto eccezionale, era stato posticipato di qualche ora proprio in vista della cena on the beach. L’ultima lezione di yoga fu presa ancora più seriamente del solito anche dall’indi che fece abbracciare tutti i vecchi in un cerchio da sir taghi. Sembrava l’anello di cartapesta perso da Alzaimer, dio della terza età. La nonna aveva tentato di trascinare anche la nipotina in quell’ultima perla di saggezza indù che sarebbe stata loro dispensata, ma la ragazza, furbescamente, rispose che non poteva perdersi l’ultima nuotata in quel magnifico mare. La nonna, nonostante le alghe che inspiravano ed espiravano sul bagnasciuga, decise di non insistere in quell’ultimo giorno di festa.
Oggi sei più allegra del solito, come mai, la sorprese il bagnino mentre saggiava l’acqua in riva.
Fatti miei e si tuffò senza permettere al corpo di adattarsi all’acqua gelida. Ormai aveva rinunciato a quella pratica di contemplativa osmosi tra il suo corpo e il mare.
Tentò, per tutta la nuotata, di non guardare mai verso la riva e di sparire, almeno per quei pochi momenti, dalla faccia della terra. Di sciogliersi ad ogni onda un pezzettino in più.
Altro che yoga. Quando la mente può perdersi nel blu fresco del mare non c’è niente che possa competere con i la rilassatezza che ne consegue. Provò ad immaginarsi anziana a 60, 80 anni, ma scacciò immediatamente quel pensiero dal retrogusto di apatia e solitudine per scatenarsi in una nuotata a massima potenza.
Al pranzo, prima della siesta con sbavettata sonnolenta, si discusse del menù per la sera. Bisognava contemplare don Antonio, ovviamente. Ma don Antonio, al cellulare, non rispose.
Non lo sente mai.
Dopo un’ora di proposte, ognuno sembrava aver preso il diploma di cuoco all’alberghiero, si decise per tartine all’uovo di lombo e melone e prosciutto, pasta fredda con verdura e mango e medaglioni di pollo. Vino bianco fresco e qualche bibita per le signore e la ragazzina.
La coca cola no però, che dicono che faccia cose pericolose.
Qualcuno dice che quelli della coca cola abbiano ammazzato, addirittura.
Se vabbè e che bisogno ne hanno di ammazzare quelli, è una bibita mica parliamo di petrolio.
Intanto qualcuno lo dice. Ci sarà un motivo.
Per sicurezza prendiamo un bel chinotto italiano e ci togliamo ogni dubbio,
Infatti.
Giusto.
In quel momento telefonò don Antonio.
Che volevate? È successo qualche cosa? Chi stava annegando stavolta?
No don Antonio stia tranquillo, volevamo sapere se aveva qualche idea per la cena di stasera. Se c’è qualche piatto che preferisce, ma ormai abbiamo deciso.
Allora va bene, a me sta bene ogni cosa. Ma la fate quella pasta con i capperi che abbiamo mangiato per il 13 Maggio in parrocchia?
No don Antonio abbiamo deciso per una pasta fredda veloce veloce, ma…
No no no, va bene così, arrivederci e chiuse senza attendere repliche.
Quando la telefonata fu riferita agli altri, alcuni vecchi insorsero contro la signora che aveva parlato col prete.
Se don Antonio vuole la pasta coi capperi del 13 Maggio, quella si fa!
Ma quella del 13 Maggio ce la siamo mangiata tutta.
Nessuno rise.
Mica possiamo cucinare sempre le stesse cose però. Se don Antonio vuole la pasta con i capperi una di queste domeniche gliela facciamo.
Fu così che lo richiamarono per saggiarne il parere.
Ma no lasciate stare, che io dicevo tanto per dire, la pasta fredda va benissimo, che poi i capperi ce li posso mettere lo stesso.
Grazie don Antonio.
E lì a perdere una ventina di minuti a lodare don Antonio e la sua bontà.
Al supermercato andarono la nonnina con la nipotina, un’altra vecchietta che una volta aveva lavorato al mercato e la sapeva riconoscere la verdura fresca, sei baldi anzianotti che ancora potevano vantare forza e prestanza, mica come i giovani d’oggi che si spezzano come i grissini, l’avete visto il bagnino, ma quello può mai essere un bagnino? sembra stia annegando senza mettere piede in acqua? Dove l’ha preso il brevetto? Nel deserto? E l’autista del pulmann, che altrimenti, i vecchi, al supermercato più vicino ci sarebbero arrivati l’estate successiva e sarebbero tornati, semmai ce l’avrebbero fatta, quella dopo.
Posteggiare un pulmann di cinquanta posti il più vicino possibile all’entrata del supermercato fu un’impresa impossibile, ovviamente. Si concluse che i vecchi scesero a far la spesa, mentre il conducente avrebbe posteggiato più in là e li avrebbe ripresi dopo mezz’ora proprio davanti il supermercato. Inutile dire che dopo mezz’ora dei vecchi non c’era traccia, perché oltre alla loro lentezza biologica si sarebbe dovuto calcolare il coefficiente di chiacchiera elevato al coefficiente di mancato consenso che un gruppo di ottuagenari riesce ad avere nel prendere decisioni.
Fattosta che il conducente passò per ben quattro volte, facendo il giro dell’immenso isolato, davanti il supermercaro prima di trovare i vecchi nel luogo concordato con le buste della spesa. Ed è inutile aggiungere che bisognò bloccare il traffico per dieci minuti buoni prima che l’ultimo dei fossili fosse riuscito a salire con tutte le buste.
Credevamo si fosse dimenticato di noi.
Non la vedevamo più arrivare.
Il conducente li guardò con gli occhi infuocati di odio, ma non rispose nulla, si limitò a grugnire mentre metteva in moto il possente automezzo e guidò, volutamente, con fare aggressivo sotto gli occhi scandalizzati degli anziani.
Al lido trovarono don Antonio, che abbracciò calorosamente la spedizione e accarezzò la testolina della nipotina come fosse uno dei suoi cuccioli di campagna.
Come sta padre? Benarrivato! Non c’aspettavamo di vederla così presto. È stato gentile da parte sua accettare il nostro invito. Ma torna con noi? O mangia e scappa? Rimane, eh? Meno male!
Tra i saluti esagerati, come se col sacerdote non si vedessero da secoli, la ragazzina ne approfittò per sparire dalla vista della nonnina e rimanere un po’ tranquilla. Trovò, senza cercarlo, il bagnino, in un angolo del lido, disteso su una sdraio, con le cuffie alle orecchie, intento a leggere un libro logoro. Gli si avvicinò, senza imbarazzo. Ormai, l’unica cosa che le importava era arrivare a domani e riprendere in mano la sua vita, nonostante la sua famiglia.
Cosa leggi?
L’aitante bagnino dalla tovaglia da mare puzzosa si tolse le cuffie, sorrise esageratamente e le chiese come scusa, cosa leggi?, ah non lo so!, come non lo sai?, non lo so, è un libro di mio fratello, un vecchio urania, urania?, sì libri di fantascienza che uscivano molto tempo fa adesso li trovi ad un euro nelle bancarelle, ma come fai a leggere una cosa senza sapere cos’è, leggo solo per occupare il tempo, non voglio mica che mi scoppi la testa, ma a proposito: come hai fatto a resistere un’intera settimana co’ ‘sti vecchi, io per fortuna ho lavorato tutto il tempo e le giornate sono volate, ma tu…
Non sono poi così male e una settimana si può fare, l’importante è non spendere tutta l’estate con loro. Sarà, io mi sarei impiccato. Esagerato! Ti piace la musica da discoteca? Non la conosco? E le infilò le cuffie nelle orecchie. Una serie di suoni, ad altissimo volume, cominciarono a fare a botte nel suo cervello. Sgranò gli occhi incredula, come faceva quel tipo dall’aria tranquilla a leggere un libro con tutto quel frastuono assordante? Il tecno bagnino le tolse le cuffie sghignazzando. Cosa c’è? Niente, niente, hai fatto una faccia buffissima, sembravi un cartone animato! La ragazza non sapeva se offendersi o ridere con lui. Che tipo strano. Si sentì osservata. Pensò alla nonna, si alzò e si scusò, ma devo andare, buona lettura. Grazie. Ma dai, resta un altro po’. No, davvero, devo andare. Facciamo almeno una passeggiata. Una passeggiata? Sì, lungo il bagnasciuga. È una cosa molto romantica e le prese la mano. La ragazzina arrossì, visibilmente. Non posso, scusa.
Mentre raggiungeva il ballatoio in legno poteva sentire il frastuono da discoteca che martellava le orecchie del lettore disimpegnato. Raggiunse la nonna che, fortunatamente, non si era accorta della sua assenza.
Vai a dare una mano a mettere le candele.
Si decise di posizionare i tavoli il più vicino possibile alla riva. Si sarebbe cenato a lume di candela con il rumore delle onde come sottofondo. A turno si sarebbe fatto da spola tra la cucina e i tavoli per il cibo.
Sembrava si stesse organizzando una festa di paese, ma un paese di soli anziani era degno di un film horror o di una puntata di X-files.
Quando tutto fu pronto era ormai buio. Nessuno si godette il meraviglioso tramonto di quel giorno. Dove le nuvole arrossirono d’incomprensione per l’indifferenza umana. Forse solo il bagnino godette di quello spettacolo, se solo il suo cervello fosse riuscito a lavorare con tre variabile contemporaneamente: libro, musica e tramonto.
Le candele davano a quel posto l’aria di un lido tropicale. Don Antonio si sedette a capotavola e benedisse la cena che stavano per consumare, ma non ci mise tanto, sa come vanno queste cose, Dio si accontenta anche di un semplice grazie, basta che sia fatto col cuore.
Il vecchio trans servì a tavola con un’ilarità e uno sculettamento degno di una boldiana commedia italiana. Don Antonio lo ignorò senza dar a vedere l’insofferenza che gli provocava quell’ibrido di anzianità e perversione. Era il suo modo per aiutarlo: non dar peso ai suoi comportamenti corrotti. Solo quando gli fece cadere una tartina all’uovo di lombo sulla camicia e tentò di spazzolargliela animatamente don Antonio disse un secco ci penso io, figliola!
La cena sembrava il frutto biblico di un’amenità post-apocalittica. Una vecchia stava raccontando del suo viaggio di nozze ad Ischia, col suo defunto marito. Di quando arrivarono bagnati fradici nella pensione più sporca e puzzolente del mondo, dove le lenzuola era tutte gialle di sporcizia, c’erano peli dappertutto, i bagni era luridi di pipì e i proprietari sembravano usciti da un circo degli orrori. Raccontò di come, per risparmiare, andarono durante la bassa stagione e non trovarono neanche una della famose terme aperta per potersi rilassare. Di come, dopo una sola notte passata nella pensione fogna scapparono via, con i bagagli ancora fradici per la pioggia del giorno prima, vomitando rabbia e puzza. E mentre gli altri si sganasciavano dalle risate per quella storia raccontata cento volte – ad esser buoni – un tuono tolse la corrente al lido facendo tremare le membra anziane di paura.
Per fortuna avete messo le candele disse don Antonio soddisfatto, ma si vede che il grazie di inizio cena non era di cuore cuore, perchè un diluvio universale si riversò sulla tavolata con una forza devastante. Il panico s’impossessò di tutti.
Il buio improvviso e il frastuono della pioggia e dei tuoni allontanò i commensali nonostante fossero tutti seduti vicini. Ognuno dispensò consigli da protezione civile, ma le parole non riuscivano ad attraversare il muro di pioggia.
La cosa più terribile era il buio. Totale. Rumoroso. Inaspettato.
Alcuni si alzarono al primo lampo e tentarono di raggiungere la tettoia. Altri cercarono di raccogliere pietanze, bicchieri e bottiglie. Qualcuno cadde. Qualcun altro si diresse, per errore, verso il mare, ma tornò indietro immediatamente. La nipotina urlò alla nonna la direzione da prendere per mettersi al riparo con la sua amica. Poi prese l’insalatiera con la pasta e la portò sulla pedana di legno più vicina al bagnasciuga. Tornò al tavolo utilizzando i flash dei fulmini come fossero l’intermittenza di un faro impazzito e afferrò la seconda insalatiera. Vide il bagnino fare la stessa cosa, dall’altra parte della lunga tavolata, aiutato da don Antonio. Si sorrisero, fradici, come in posa per una foto gigante dal flash interstellare. Si diressero in direzioni opposte, raggiungendo le punte del ferro di cavallo che formavano le cabine.
Quando la ragazzina posò sulla pedana la sua seconda insalatiera, una mano, più grossa della sua, le afferrò il polso con una decisione disarmante. La mano la trascinò dentro la cabina con violenza. Il quattordicenne corpicino fradicio batté contro la parete di legno. La porta si chiuse con un rumore sordo creando una bolla di silenzio ovattato e immobile. La mano le accarezzò la faccia in modo ruvido e scoordinato. Poi le strinse uno dei piccoli seni. Un fulmine saettò all’orizzonte, ma lei non lo vide mai, rinchiusa là dentro. Vide però il volto spettrale dell’autista, bagnato e feroce come una belva impazzita. Tentò di urlare, ma il buio e la mano dell’uomo le soffocarono le urla in gola.
L’ho visto come guardi quel finocchio del bagnino. Come gli sculetti vicino sperando che ti tocchi, vero piccola puttana? L’ho visto come vorresti farti montare da quello smidollato?
Un altro fulmine illuminò quell’abisso in pezzi di luce morente. La mano continuava a toglierle il respiro, il volto dell’uomo era vicinissimo al suo. Era terrorizzata. Disperata. Era distrutta.
Adesso tolgo la mano e se urli ti prendo a pugni. Hai capito?
La testa tentò di fare sì, ma la mano l’immobilizzava con troppa violenza.
Non appena l’uomo la liberò dalla morsa callosa una lingua viscida e invadente la soffocò peggio di quel palmo schifoso che la schiacciava. Fu allora che pianse e sentì freddo.
Mentre la lingua dell’uomo frugava frenetica nell’alcova della sua giovinezza lei pianse. Senza singhiozzi o sussulti, lasciò solamente scorrere delle lacrime, amare, come una madonnina, immobile.
Una mano le spingeva la spalla contro il muro mentre l’altra si agitava frenetica in un punto non ben individuato del corpo dell’uomo. Solo il gomito, che picchiettava contro il corpo della ragazza, le faceva capire che l’altra mano non era su di lei.
La lingua, impazzita come la calda coda di una lucertola staccatasi dal corpo del rettile, le riempiva la bocca di saliva capperi fumo e violenza. Ad un tratto, come un palloncino che si sgonfia, il conducente staccò la sua schifosa bocca, poggiò la fronte sulla spalla libera della giovane ed emise un gorgogliare rauco e soffocato. Si risollevò, mentre la ragazza con gli occhi spalancati sul buio denso della cabina riprendeva fiato. Le cercò, tastoni, la guancia e gliela accarezzò con una dolcezza robotica degna dell’animale che era. La ragazza tremava.
Avvicinò di nuovo le sue labbra a quelle di lei, che sussultò di terrore.
Se lo dici a qualcuno ti ammazzo. E poi che sarà mai, è solo un bacio. Chissà quanti ne avrai baciati di maschi, vero puttanella? e rise, diabolico. Se ne andò lasciando la porta della cabina aperta e non temendo nè il buio, nè l’acquazzone, nè la collera degli anziani.
Piangere fu l’unica cosa che le riuscì di fare. E ad ogni fulmine i singhiozzi aumentavano di intensità e disperazione.
Dopo un tempo che sembrò eterno si sentì sfiorare da una mano. Sobbalzò elettrizzata dal terrore. Urlò.
No ti prego, no. E pianse rannicchiata a terra.
No, ti prego, no.
Una mano l‘accarezzò.
Lasciami stare, ti supplico.
La mano la sfiorò ancora più delicatamente.
Vattene, vattene, vattene.
Il buio concesse un secondo di libertà ai suoi occhi. La vecchia sordomuta, fradicia, le era seduta accanto. La sollevò per un polso, delicatamente. Le fece poggiare il viso sul suo petto, poi, mentre le accarezzava la testa, si mise a piangere. Anche lei.
L’acquazzone terminò, ma la luce non si decideva a tornare. I vecchi si divisero in squadre per sistemare il disastro creato dal temporale. Il trans, una vecchietta fragile fragile e la cicciona dall’occhio storto entrarono nella loro cabina.
Mamma mia che temporale incredibile, mi sono presa uno spavento. Per un attimo temevo che uno di quei fulmini potesse colpirmi.
Ormai neanche i fulmini ci filano più, vecchia mia, disse l’exuomo.
In tutta la mia vita non avevo mai visto un temporale così, sembrava che l’estate fosse terminata.
Il trans la fissò e se solo non ci fosse stato tutto quel silicone sulla sua faccia si sarebbe capito che era serio, quasi solenne.
Per noi è finita da tempo, mia cara, l’estate. Quando ti rendi conto che il mondo è uno schifo, e io ne so qualcosa, ecco… quando finisce l’estate.
Nella cabina di fianco, per terra, una vecchia sordomuta e una bambina di quattordicianni, abbracciate, entrambe bagnate dalla pioggia e dal dolore, piangevano, dondolandosi sommessamente.
2 comments:
in bocca al lupo, man!!
in bocca al lupo, man!!
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