Saturday, December 12, 2009

parole in corsa

Ieri c'è stata la premiazione del vincitore della VII Edizione del concorso letterario parole in corsa. Presentevano Lillo & Greg. Grazie all'amico e scrittore Gaetano Messineo ho partecipato con un'idea abboazzata che è diventata una storia di 90 righe grazie proprio al mio amico e motivatore Gaetano. Il racconto non è mio quindi, anche se sul libro che hanno pubblicato è firmato da me. Il racconto non è mio, anche se alla premiazione, ieri, io c'ero andato per dare Shaker a Lillo & Greg, mica per ritirare un premio, quello è venuto dopo, a sorpresa e non per merito mio, ma di Gaetano. Perchè io ho solo assecondato il suo entusiasmo, poi lui ha scritto, corretto, finito, sistemato e spedito tutto. Quindi ora, se vi va, godetivi il racconto arrivato secondo su 1500 racconti inviati.
Avete 2 possibilità:
1. leggerlo di seguito
2. ascoltarne un pezzo grazie al video in fondo.

Buona LETTURA!


Ho novanta righe per raccontare come mi hai lasciato senza parole. Ma con pensieri scomposti, in un turbinare di emozioni. Alcune righe le salto, te le sei tirate in bagno, prima di venire in cucina, aspirando tutta l’aria che ci univa, per lasciare un vuoto a separarci. Altre righe non le commento neanche, quelle sul braccio, del tuo passato autolesionista. Mi coccolo le mie novanta righe di solitudine dove scrivere di quel momento. Lo capii subito, dal tempo in bagno. Quando sniffi ci metti quel tot di minuti standard. Quasi vedo tutti i movimenti che fai, anche se non sono mai stato presente. Lo specchietto, la palletta bianca, la scheda, le dieci euro arrotolate, l’aspirazione, il tiro, il tremolio della testa, il sorriso, lo sguardo soddisfatto, l’occhiolino allo specchio. Ho solo novanta righe per raccontare le tue, quante, novecento? Novemila righe di distanza. Per dire come ti grattavi l’avambraccio martoriato mentre mi dicevi che partivi, che era finita, che un po’ ce lo aspettavamo entrambi. Che non poteva durare. Che io ero troppo per bene e giù con la retorica dei mondi diversi, dell’incompatibilità, dei destini e della farsa: “non mi merito un uomo come te”. Sniff. Novanta righe per non accennare alle righe sulla macchina, fatte da qualche tuo pseudo amico, per dirti che sanno dove sei e con chi stai. Novanta righe di merda per ammortizzare il tram in corsa della tua dipendenza, i tuoi deliri da soap opera. Per dire di come ti ho vista alla stazione, settimane dopo, ma non per partire, per scollettare. Uno zombie lontano che biascicava frasi in automatico, mica le parole in corsa di quella sera, vomitate come neve nella bufera. Mentre lavavo i piatti e tu mi dicevi: “cazzo, basta, non può andare avanti!”. Ed io sniff per le lacrime e tu sniff per la coca. Novanta righe di parole come scatole vuote. Apro la parola amore e dentro non ci trovo niente, neanche nella scatola col tuo nome, nulla. Solo polvere che volteggia illuminata da un raggio di luce smorta. Le nostre parole suoni senza sostanza. Apro la scatola del mio nome e trovo te, in bagno, a sniffare il tuo futuro senza me. Dovrei essere felice e invece piango, perché l’altra te è quella che speravo di trovare nella scatola a forma di parole. Quella che, senza coca, sarebbe stata la mia famiglia. Apro la scatola del tuo nome e trovo me in cucina, solitario e pensieroso, sperando che tutto si aggiusti per inerzia, perché parlarti a quattr’occhi e prendere la situazione di petto sarebbe difficile e doloroso, troppo difficile e troppo doloroso.Ho sessanta righe o poco più per raccontare come siamo arrivati a questo punto. Guardo la porta chiusa e aspetto che tu torni. Passano ore, giorni, ma la porta non si apre. Il silenzio che circonda la casa mi fa male alle orecchie. Ci prendevamo per il culo e tu urlavi, mi urlavi che non ti capivo e io non ti capivo davvero, mentre urlavi.Ho cinquanta righe per dirti che mi dispiace, mi dispiace essere stato complice del tuo malessere, essere rimasto lì fermo, a subire te che mi sputavi veleno avvolgendoti nei miei silenzi senza memoria. Tante volte mi accusavi di trattarti male, di dirti "le peggio cose", ma io preferivo mediare cercando di non pensarci.Dieci righe le voglio spendere per ricordare il momento in cui te ne sei andata per sempre, la valigia aperta sul letto, i vestiti ammucchiati dentro come stracci, il tuo modo di muoverti a scatti, presa da un fervore innaturale. Dieci minuti prima eri sotto un treno, con il viso sul tavolo e le braccia penzoloni, che affogavi nella tua saliva. Poi quel maledetto bagno ti ha di nuovo intrappolata regalandomi l’altra te che non sopportavo. Hai riempito uno zaino della roba che tenevi nel soggiorno, buttata dentro come fosse immondizia, mentre ti guardavo a distanza senza fiatare. Il vestito rosso a fiori bianchi che indossavi sembrava girare istericamente per casa, fra i cassetti dei nostri ricordi, per poi scomparire dietro una porta sbattuta con rabbia.Mi sono rimaste forse dieci righe, l’unica cosa che mi rimane di te, assieme al pacco di Camel sul comodino, alle scarpe nere col tacco che non sapevi portare, al pigiama rosa piegato sotto il cuscino, alle dieci euro arrotolate in bagno, allo specchio che non rifletteva più la tua immagine. Forse ti avrei dovuto mandare a fanculo al momento giusto, ma non sono mai stato capace di guardarti in faccia e affrontarti. Ho sempre voluto dirti quanto eri bella e quanto eri speciale, se ti avessi detto anche quanto eri falsa e quanto eri stronza, forse…le righe non sarebbero finite.Ma le righe restano poche e le parole si sono confuse e intrecciate. Il senso di tutto, smarrito fra le lettere aggrovigliate, mi lascia disorientato e rimango solo, con le mie pagine bianche.



2 comments:

Unknown said...

tu con me sei troppo buono Giro. L'idea è stata tua, il soggetto è tuo... io ho avuto l'entusiasmo dettato dallo scrivere insieme

Anonymous said...

Complimenti Giro che conosco e Gaetano che non credo di conoscere. Mi è piaciuto il senso di conto alla rovescia delle righe, mette un senso di ansia fin dalle prime righe... che ben si accompagna con la storia. Continuate a stimolarvi a vicenda, se questo significa per noi poter leggere ancora altri racconti!
Matteo Martinelli