Tuesday, September 08, 2009

santa polenta!

Noi semo quelli che je ripetemo in coro...”E’ mejio er vino de li castelli, che questa zozza società".

L'ora sembra arrivata, ho passato un mese girovagando e anche vagabondando, un mese di vita selvaggia, dormendo su scogliere e spiagge ispaniche. Non sembra, sembro piuttosto uscita da un centro benessere da cinquecento euro al giorno.

Ritorno a Roma. Lascio la mia Torino, prima culla dei miei rientri, lascio una cittadina dove si incontrano amici ad ogni angolo, dove i luoghi sono sicuri in quanto conosciuti. Dove si susseguono aperitivi e inaugurazioni, festival e cocktail improvvisati.
Leggo una scritta sui Murazzi del Po “Mojito al popolo”.
L'ultimo saluto per questa tranche.

Scelgo spesso di arrivare a Roma la mattina presto, verso le sei. La notte in cuccetta permette di decomprimere, i tempi morbidi del treno sono a volte impagabili rispetto alla confusione e alla formalità aereoportuale. Si può godere di una città che non si è ancora svegliata, che stropiccia gli occhi, le sveglie suonano in ogni casa, alcuni lavoratori ammutoliti dal sonno sono già sul bus.

In quelle ore del giorno a Roma non c’è il caos, c'è solo quella luce unica, tenue, che definisce le linee dei pini, che sveglia i giochi migratori degli uccelli.Durante i primi giorni romani la tendenza è quella di vivere le quattro mura, annusare l'aria, riempirsi gli occhi di colori, la casa la spesa il caffè al bar. Ogni tanto le sedute di youtube incitano a rispolverare film che delineano personaggi e luoghi romani, così Mario Brega col suo prosciutto dolce mi porta fino a via Veneto a comprare le scarpe, cerco giovani rivoluzionari in via del Tempio 1, sorpasso cabriolet a ferragosto.

Inoltrarmi subito nella città capitolina toglie di dosso tutta l’aria di protezione che dà Torino, quella che per assurdo dà anche la cuccetta del treno, lento evolversi verso il cambiamento.
Passano i primi giorni, e il mio primo contatto, oltre le telefonate agli amici, i primi appuntamenti soft, il riallacciare rapporti, è l’acquisto di “Romacè”. Giornaletto del mercoledì che si dedica totalmente alla vita culturale romana illustrata con precisione, qui trovo proiezioni cinematografiche insospettabili, retrospettive, rassegne incontri che sopravvivono ai tempi bui. Tramite la lettura del giornaletto immagino mondi, luoghi lontani, percorsi da fare e da studiare, immagini da vedere. Il primo passo, quando in evidente stato di disoccupazione, è vagare per rassegne e mostre. Meglio se pomeridiane e a bassissimo budget, mi danno il respiro giusto e l’impegno, la solitudine permette di dettare dei tempi propri e incorruttibili.

Segno, marco, cerco di memorizzare, mi pongo degli obbiettivi, guardo il percorso sul sito dell’Atac, leggo informazioni su artisti e film.

Poi tutto piano piano scorre, parto agguerrita, richiedo colloqui, invio curriculum, non mi rassegno, fiduciosa, mi diluisco, sciolgo il jet lag sabaudo e riprendo il fluire nella capitale.

1 comment:

Anonymous said...

Cambiare città, sentire il profumo delle novità che a volte la sera si mescolano a voglia di ritornare da dove si è venuti e incomprensibile desiderio di sfidare l'ignoto quotidiano... Che emozione!!!
Ma Roma è Roma ed è come una grande mamma: ti segue, ti coccola e t'abbandona perché ha troppi figli da cullare!!!
Conosco molto di più il sapore delle friselle che della polenta, curiosamente leggerò...

Finalmente percezionesociopatica si tinge di rosa

BENVENUTA!

Flò