Thursday, June 11, 2009

Senza Titolo - Giulio Vaccaro


I

Rinfrescano i platani sul Lungotevere Oberdan.

La pioggia ha lasciato occhi, freschi di mare,

sui viali, per osservare gli uomini ed i loro vestiti.

E c’è, sotto due fronde cristallo,

un uomo sconosciuto

col doppio petto magro

sopra lo sterno,

che rinfresca

la lana calda del vestito

sopra la strada;

Minuto,

quasi un macchia delicata

Si rotola in cerca del letto

Nel cielo più guercio.

C’è del fresco,

e la piccola nota umana

assaggia quell’umido

con le ginocchia ed il vestito

di lana lacustre.

Poi,

piovoso,

masticato in mollezza

Dal mare cittadino,

si struscia sotto un platano

più fresco,

luccicante e bagnato,

strusciando il tallone

in cerca d’un altro letto

meno nautico.

E,

fiacco,

nel parco

di viale Mazzini,

ricade.

Poche le barche

Attorno Venezia:

Le macchine illuminano

Attorno i giardini,

nell’ombra del tuono

che lo mantiene statua ellenica

per qualche ora .

Una città gli dorme di fianco:

quasi gli bacia

le pieghe bollenti della fronte.

La giacca è più fresca,

color polmonite,

lana calda che puzza di cielo.

II

Ora ha la febbre,

ma la porta come un vestito

del colore dei gerani;

Questo picaro l’indossa sopra una strada,

quasi davvero avesse una pelle di chiffon,

all’ultimo grido.

Egli indossa una giacca

di febbre,

color polmonite,

ultimo grido di mare, come un naufrago.

Ha mani gonfie di vene che battono a tempo

E suono di campane dentro le tempie.

La bianca bufera – che i lampi l’imbiancano –

Si pianta tra la mussola de le fronde,

luccicando come una lama.

Dagli asfalti viene

Il suono randagio dell’acque,

il clangore morto delle sentine,

e le fogne hanno suoni

ipnotici, come il maestoso inconcepibile.

“Vieni a morire, quando suona la gran cassa

Del sole.” Dicono gli scoli, mentre si perdono.

“Suona la banda di Belzebù

i suoi assoli, con timpani d’orrendo amore.”

Il vento da schiaffi,

in faccia al picaro svenuto.

Gli butta l’acqua verminosa

sopra le palpebre e il labbro sbiancato.

Ha la febbre, la bocca una fornace:

gli vien da rinfrescarsi, o morirebbe.

Sente un caldo da trapasso

sopra i fiori oculari

e la luce che rincasa

tutto attorno i giardini

Poi, aggrappato a una panca

di tenero granito, s’affoga

di bollori

E lì s’addormenta

rovesciato

sotto la bella frescura del parco.

III

Sepolture svuotate

Dalle processioni, hanno un gusto discreto

Come disinfettato. Le preture

Non mettono il naso

nelle bare sconosciute.

Lanterne sono i nomi dei morti,

che raccolgono attorno come

insetti le lacrime.

Cerimonia d’ufficio, per il naufrago

Estatico. Egli ha combattuto

tutta notte coi diavoli, e sognando

agli empori elettronici

i congelatori.

Ci son chiacchiere unte

Da quell’urna vicina.

“Di chi è questo loculo? Non ha fiori.”

“Oh si, c’è della polvere

Di garofani che ancora

Manda odore”

Così, celebro un naufrago sconosciuto:

grande lirico che non ha penna.

Egli scrisse poesie morendo,

egli scrisse poesie con la temperatura della fronte,

scrisse versi cadendo in ginocchio

e morendo. Quando attorno

gli arroganti prendono pasticche

per l’ispirazione.

Giulio Vaccaro

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