I
Rinfrescano i platani sul Lungotevere Oberdan.
La pioggia ha lasciato occhi, freschi di mare,
sui viali, per osservare gli uomini ed i loro vestiti.
E c’è, sotto due fronde cristallo,
un uomo sconosciuto
col doppio petto magro
sopra lo sterno,
che rinfresca
la lana calda del vestito
sopra la strada;
Minuto,
quasi un macchia delicata
Si rotola in cerca del letto
Nel cielo più guercio.
C’è del fresco,
e la piccola nota umana
assaggia quell’umido
con le ginocchia ed il vestito
di lana lacustre.
Poi,
piovoso,
masticato in mollezza
Dal mare cittadino,
si struscia sotto un platano
più fresco,
luccicante e bagnato,
strusciando il tallone
in cerca d’un altro letto
meno nautico.
E,
fiacco,
nel parco
di viale Mazzini,
ricade.
Poche le barche
Attorno Venezia:
Le macchine illuminano
Attorno i giardini,
nell’ombra del tuono
che lo mantiene statua ellenica
per qualche ora .
Una città gli dorme di fianco:
quasi gli bacia
le pieghe bollenti della fronte.
La giacca è più fresca,
color polmonite,
lana calda che puzza di cielo.
II
Ora ha la febbre,
ma la porta come un vestito
del colore dei gerani;
Questo picaro l’indossa sopra una strada,
quasi davvero avesse una pelle di chiffon,
all’ultimo grido.
Egli indossa una giacca
di febbre,
color polmonite,
ultimo grido di mare, come un naufrago.
Ha mani gonfie di vene che battono a tempo
E suono di campane dentro le tempie.
La bianca bufera – che i lampi l’imbiancano –
Si pianta tra la mussola de le fronde,
luccicando come una lama.
Dagli asfalti viene
Il suono randagio dell’acque,
il clangore morto delle sentine,
e le fogne hanno suoni
ipnotici, come il maestoso inconcepibile.
“Vieni a morire, quando suona la gran cassa
Del sole.” Dicono gli scoli, mentre si perdono.
“Suona la banda di Belzebù
i suoi assoli, con timpani d’orrendo amore.”
Il vento da schiaffi,
in faccia al picaro svenuto.
Gli butta l’acqua verminosa
sopra le palpebre e il labbro sbiancato.
Ha la febbre, la bocca una fornace:
gli vien da rinfrescarsi, o morirebbe.
Sente un caldo da trapasso
sopra i fiori oculari
e la luce che rincasa
tutto attorno i giardini
Poi, aggrappato a una panca
di tenero granito, s’affoga
di bollori
E lì s’addormenta
rovesciato
sotto la bella frescura del parco.
III
Sepolture svuotate
Dalle processioni, hanno un gusto discreto
Come disinfettato. Le preture
Non mettono il naso
nelle bare sconosciute.
Lanterne sono i nomi dei morti,
che raccolgono attorno come
insetti le lacrime.
Cerimonia d’ufficio, per il naufrago
Estatico. Egli ha combattuto
tutta notte coi diavoli, e sognando
agli empori elettronici
i congelatori.
Ci son chiacchiere unte
Da quell’urna vicina.
“Di chi è questo loculo? Non ha fiori.”
“Oh si, c’è della polvere
Di garofani che ancora
Manda odore”
Così, celebro un naufrago sconosciuto:
grande lirico che non ha penna.
Egli scrisse poesie morendo,
egli scrisse poesie con la temperatura della fronte,
scrisse versi cadendo in ginocchio
e morendo. Quando attorno
gli arroganti prendono pasticche
per l’ispirazione.
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