Arriviamo ad un giardinetto pubblico mentre l’alba spunta vitale dalle nuvole che frastagliano il cielo; siamo ormai a casa di Laura ma ci fermiamo ugualmente, lo abbiamo deciso senza necessità di parole, ancora non riusciamo a lasciarci. Scegliamo una panchina che sembra messa lì solo per noi, chissà quando, desiderosa del calore dei nostri giovani corpi, quasi quanto io desidero sentire quello di Laura. Il giardino e le strade attorno, completamente deserte, cominciano a manifestare i primi segni di risveglio dal torpore notturno.
L’inizio di un amore, nelle dinamiche di sempre. Le migliori dinamiche. Gli incastri perfetti, l’armonia, le parole che escono facili come non si sarebbe mai immaginato potesse succedere. Due ragazzi su una panchina, la premessa di una storia d’amore, ipoteca di felicità. Ma qualcuno ruba l’Angelo, una squadraccia di sbirri rapisce Laura. La vita di Alfonso Lopez è recisa, sospesa per sempre. Siamo nell’Argentina del 1978, gli anni di una dittatura sanguinaria che rapisce, tortura ed elimina migliaia di presunti oppositori. Siamo in un posto dove è successo qualcosa che poteva succedere anche in Italia. E non è successo. A volte c’è mancato un pelo, la parola Golpe è risuonata spesso, in decine di dossier, nella controinformazione. Parola ignorata o invocata dall’umanità media del paese con la borghesia più ignorante d’Europa, desiderosa di poteri forti pronti a ristabilire un ordine fascista. Allora, negli anni Settanta. E oggi, come non mai. Genova a monito.
A questo ho pensato quando ho chiuso il bel romanzo di Giampaolo Borghini, ex Quindicino (http://www.iquindici.org/news.php) , nato nel 1968 a Ferrara. Descrive una storia delicata in un contesto Storico tragico che mangia i piccoli uomini. I paesi feriti e martoriati perdono la memoria, certe storie vanno rimosse. È un istinto di conservazione che non è sempre vigliaccheria o ingiustizia. I carnefici oggi in Argentina camminano per le strade, le vittime abbassano lo sguardo. La vita deve continuare, il cervello deve decomprimere i cattivi pensieri. Noi latini questo lo sappiamo fare. È la nostra benedizione. La nostra maledizione. Un tango può momentaneamente allentare la tensione.
Per ballare il tango serve un’anima pura e lasciva allo stesso tempo, senza la quale non è altro che un esercizio di stile, qualcosa di vuoto e inutile come camminare senza scopo nell’anello di una piazza, gli altri questo invidiano a loro. Fra un po’, quando la milonga si riempirà, se ne andranno, di un metro quadrato per muoversi non sanno che farsene e quando si riempie anche questa sala modesta sembra che scoppi. A quei ragazzi, che non erano nemmeno nati quando il capitano entrava da quella porta per far smettere l’eversione di una pericolosa banda di ballerini, per stroncare la sedizione della seduzione, non importa proprio niente dei morti, dei desaparecidos, a loro interessa solo il ballo.
Non sempre il meccanismo di autodifesa funziona. O non per sempre. Si erigono barriere, dighe artificiali che arginano un dolore che potrebbe ucciderci. Si emigra, si opta per una esistenza anonima, per la solitudine. Si mormora e non si urla. Poi un cadavere riemerge dal Po, assomiglia in maniera assurda all’Angelo perduto quella notte maledetta. Non è possibile. Siamo in una dimensione paranormale, la ragazza ha ancora i tratti di allora. Per sempre Laura, per sempre giovane, la Laura del Parco. Un Angelo torturato su un tavolone dell’ESMA, la Scuola di Meccanica della Marina trasformata in quegli anni in una fabbrica di orrori. Alfonso Lopez si è dimenticato di quella storia, si è stordito di lavoro. Quella storia non si è dimenticata di lui e torna a cercarlo. Per chiudere il cerchio che va chiuso dovrà tornare a Buenos Aires dove si cerca di sopravvivere agli incagli di sempre, dove si è smesso di cercare la verità e la giustizia. Dove di balla ancora il tango. Splendidamente.
IL TANGO DELL’ANGELO PERDUTO di Giampaolo Borghini, Davide Zedda editore, Cagliari, Aprile 2008, euro 12
L’inizio di un amore, nelle dinamiche di sempre. Le migliori dinamiche. Gli incastri perfetti, l’armonia, le parole che escono facili come non si sarebbe mai immaginato potesse succedere. Due ragazzi su una panchina, la premessa di una storia d’amore, ipoteca di felicità. Ma qualcuno ruba l’Angelo, una squadraccia di sbirri rapisce Laura. La vita di Alfonso Lopez è recisa, sospesa per sempre. Siamo nell’Argentina del 1978, gli anni di una dittatura sanguinaria che rapisce, tortura ed elimina migliaia di presunti oppositori. Siamo in un posto dove è successo qualcosa che poteva succedere anche in Italia. E non è successo. A volte c’è mancato un pelo, la parola Golpe è risuonata spesso, in decine di dossier, nella controinformazione. Parola ignorata o invocata dall’umanità media del paese con la borghesia più ignorante d’Europa, desiderosa di poteri forti pronti a ristabilire un ordine fascista. Allora, negli anni Settanta. E oggi, come non mai. Genova a monito.
A questo ho pensato quando ho chiuso il bel romanzo di Giampaolo Borghini, ex Quindicino (http://www.iquindici.org/news.php) , nato nel 1968 a Ferrara. Descrive una storia delicata in un contesto Storico tragico che mangia i piccoli uomini. I paesi feriti e martoriati perdono la memoria, certe storie vanno rimosse. È un istinto di conservazione che non è sempre vigliaccheria o ingiustizia. I carnefici oggi in Argentina camminano per le strade, le vittime abbassano lo sguardo. La vita deve continuare, il cervello deve decomprimere i cattivi pensieri. Noi latini questo lo sappiamo fare. È la nostra benedizione. La nostra maledizione. Un tango può momentaneamente allentare la tensione.
Per ballare il tango serve un’anima pura e lasciva allo stesso tempo, senza la quale non è altro che un esercizio di stile, qualcosa di vuoto e inutile come camminare senza scopo nell’anello di una piazza, gli altri questo invidiano a loro. Fra un po’, quando la milonga si riempirà, se ne andranno, di un metro quadrato per muoversi non sanno che farsene e quando si riempie anche questa sala modesta sembra che scoppi. A quei ragazzi, che non erano nemmeno nati quando il capitano entrava da quella porta per far smettere l’eversione di una pericolosa banda di ballerini, per stroncare la sedizione della seduzione, non importa proprio niente dei morti, dei desaparecidos, a loro interessa solo il ballo.
Non sempre il meccanismo di autodifesa funziona. O non per sempre. Si erigono barriere, dighe artificiali che arginano un dolore che potrebbe ucciderci. Si emigra, si opta per una esistenza anonima, per la solitudine. Si mormora e non si urla. Poi un cadavere riemerge dal Po, assomiglia in maniera assurda all’Angelo perduto quella notte maledetta. Non è possibile. Siamo in una dimensione paranormale, la ragazza ha ancora i tratti di allora. Per sempre Laura, per sempre giovane, la Laura del Parco. Un Angelo torturato su un tavolone dell’ESMA, la Scuola di Meccanica della Marina trasformata in quegli anni in una fabbrica di orrori. Alfonso Lopez si è dimenticato di quella storia, si è stordito di lavoro. Quella storia non si è dimenticata di lui e torna a cercarlo. Per chiudere il cerchio che va chiuso dovrà tornare a Buenos Aires dove si cerca di sopravvivere agli incagli di sempre, dove si è smesso di cercare la verità e la giustizia. Dove di balla ancora il tango. Splendidamente.
IL TANGO DELL’ANGELO PERDUTO di Giampaolo Borghini, Davide Zedda editore, Cagliari, Aprile 2008, euro 12
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