il giorno dopo ci abbia trasformato in meglio
Thursday, December 31, 2009
di anno in anno
il giorno dopo ci abbia trasformato in meglio
Wednesday, December 30, 2009
in una sola notte - racconti senza dimora
Monday, December 21, 2009
Saturday, December 19, 2009
Media e Povertà - grammatico blatera ad Ancona accorrrete!
Domenica 20 dicembre 2009
TEATRO SPERIMENTALE “L. ARENA” VIA REDIPUGLIA 59 ANCONA
CORTO DORICO PER GLI OBIETTIVI DEL MILLENNIO
Ore 17 Proiezione del film 8 diretto da Abderrahmane Sissako, Gael Garcìa Bernal, Mira Nair, Gus Van Sant, Jan Kounen, Gaspar Noe, Jane Campion e Wim Wenders
Ore 20 Aperitivo di benvenuto
Ore 21 Nuovi media e vecchie povertà - II tempo
Interverranno Mario Boccia (fotoreporter, inviato del quotdiano «Il manifesto»), Girolamo Grammatico (caporedattore del periodico «Shaker - Pensieri senza dimora» - Roma), Valeria Bochi (Direttrice Ufficio Marche Ong Cestas). Coordina: Vincenzo Varagona (giornalista Rai). Patrocinio dell'Ordine dei Giornalisti delle Marche. Durante l'incontro verrà proiettata la seconda parte di Millennium News.
È previsto un intervento di Giobbe Covatta dal titolo “Comunicare con il teatro e gli audiovisivi i diritti negati: quando la comicità aiuta a pensare”. Proiezione di opere audiovisive di Giobbe, prodotte dall'Amref.
L'iniziativa Nuovi media e vecchie povertà - II tempo è realizzata con il contributo di CVM e CSV
Le iniziative del Festival legate al sociale sono cofinanziate dall’UNIONE EUROPEA attraverso il PROGETTO EuropeAid/126341/C/ACT/Multi "COSTRUIRE UN DEVELOPMENT POSSIBiLE” Ref. DCI-NSA ED/2008/153-805. La presente attività è stata elaborata in collaborazione con l’Unione Europea; il contenuto dei lavori presentati è responsabilità esclusiva degli autori e non riflette posizioni ufficiali dell’Unione Europea.
Ingresso alle proiezioni del Festival: 3 euro
L'incasso di domenica 20 dicembre andrà in benificenza all'Amref.
Wednesday, December 16, 2009
in una sola notte - sostieni i senza dimora
Tuesday, December 15, 2009
Precario è vario!
Dovrebbero fare una legge che preveda uno psicologo di supporto a tutti quelli che vivono nel precariato e che cadono puntualmente in profonda crisi ogni volta che si ritrovano con un contratto scaduto e devono capire come andare avanti. Uno psicologo che ti ricordi chi sei, che esisti a prescindere dal fatto che non ti rispondono quando chiedi lavoro, che non raggiungi gli stessi risultati dei tuoi colleghi al call center, che non sei un infoiato di vendite e a mala pena vendi te stesso, figurati se vendi qualcosa in cui non credi, che la tua fidanzata ti ha lasciato perché lei ha un lavoro serio e tu ti arrabatti in mille situazioni differenti, tant'è che il tuo cv è lungo quanto il rotolo di carta igienica con cui ti ci pulisci il culo. Lo psicologo ti potrebbe dire che tutto questo travaglio serve come anticorpi, che quando avrai cinquantanni e ti troverai nella stessa situazione saprai come muoverti, che sarai più forte, che anche all'estero funziona così, che avrai talmente imparato a cadere e rialzarti che avrai le stampelle incorporate al corpo e correrai più veloce di Pistorius.
In tutto questo “chissà” c'è da pensare alla sopravvivenza, e come ci si può dedicare allora alla bellezza dei mondi, alla conoscenza, alla cura degli altri quando riesce difficile curarti di te, dei tuoi bisogni, quando tutto ti preme e non trovi l'interlocutore per sfogarti, per urlare che sì, ci sei anche tu, anche se non sei patinato e pettinato, anche se non corri come tutti, che il tuo unico problema è pensarla all'antica desiderando un datore di lavoro e non ce la fai proprio a essere datore di lavoro di te stesso, che non hai quella risacca di energia iper cinetica a cui attingere giornalmente, che non sei così sciolto da intortare sconosciuti grazie a corsi creati ad hoc per comunicare.
Si pone il problema dello stare bene con se stessi, ogni qual volta sento amici e conoscenti che anelano allo star bene con se stessi, soprattutto in quei momenti della vita dove risulta difficile anche aggrapparsi a un sogno, mi viene in mente Maradona che tempo fa in un'intervista televisiva, con gli occhi a palla, spalancati, i suoi chili di troppo, parlava di sé in terza persona e farfugliava “Maradona? Maradona sta bene con se stesso...”.
Saturday, December 12, 2009
parole in corsa
Buona LETTURA!
Ho novanta righe per raccontare come mi hai lasciato senza parole. Ma con pensieri scomposti, in un turbinare di emozioni. Alcune righe le salto, te le sei tirate in bagno, prima di venire in cucina, aspirando tutta l’aria che ci univa, per lasciare un vuoto a separarci. Altre righe non le commento neanche, quelle sul braccio, del tuo passato autolesionista. Mi coccolo le mie novanta righe di solitudine dove scrivere di quel momento. Lo capii subito, dal tempo in bagno. Quando sniffi ci metti quel tot di minuti standard. Quasi vedo tutti i movimenti che fai, anche se non sono mai stato presente. Lo specchietto, la palletta bianca, la scheda, le dieci euro arrotolate, l’aspirazione, il tiro, il tremolio della testa, il sorriso, lo sguardo soddisfatto, l’occhiolino allo specchio. Ho solo novanta righe per raccontare le tue, quante, novecento? Novemila righe di distanza. Per dire come ti grattavi l’avambraccio martoriato mentre mi dicevi che partivi, che era finita, che un po’ ce lo aspettavamo entrambi. Che non poteva durare. Che io ero troppo per bene e giù con la retorica dei mondi diversi, dell’incompatibilità, dei destini e della farsa: “non mi merito un uomo come te”. Sniff. Novanta righe per non accennare alle righe sulla macchina, fatte da qualche tuo pseudo amico, per dirti che sanno dove sei e con chi stai. Novanta righe di merda per ammortizzare il tram in corsa della tua dipendenza, i tuoi deliri da soap opera. Per dire di come ti ho vista alla stazione, settimane dopo, ma non per partire, per scollettare. Uno zombie lontano che biascicava frasi in automatico, mica le parole in corsa di quella sera, vomitate come neve nella bufera. Mentre lavavo i piatti e tu mi dicevi: “cazzo, basta, non può andare avanti!”. Ed io sniff per le lacrime e tu sniff per la coca. Novanta righe di parole come scatole vuote. Apro la parola amore e dentro non ci trovo niente, neanche nella scatola col tuo nome, nulla. Solo polvere che volteggia illuminata da un raggio di luce smorta. Le nostre parole suoni senza sostanza. Apro la scatola del mio nome e trovo te, in bagno, a sniffare il tuo futuro senza me. Dovrei essere felice e invece piango, perché l’altra te è quella che speravo di trovare nella scatola a forma di parole. Quella che, senza coca, sarebbe stata la mia famiglia. Apro la scatola del tuo nome e trovo me in cucina, solitario e pensieroso, sperando che tutto si aggiusti per inerzia, perché parlarti a quattr’occhi e prendere la situazione di petto sarebbe difficile e doloroso, troppo difficile e troppo doloroso.Ho sessanta righe o poco più per raccontare come siamo arrivati a questo punto. Guardo la porta chiusa e aspetto che tu torni. Passano ore, giorni, ma la porta non si apre. Il silenzio che circonda la casa mi fa male alle orecchie. Ci prendevamo per il culo e tu urlavi, mi urlavi che non ti capivo e io non ti capivo davvero, mentre urlavi.Ho cinquanta righe per dirti che mi dispiace, mi dispiace essere stato complice del tuo malessere, essere rimasto lì fermo, a subire te che mi sputavi veleno avvolgendoti nei miei silenzi senza memoria. Tante volte mi accusavi di trattarti male, di dirti "le peggio cose", ma io preferivo mediare cercando di non pensarci.Dieci righe le voglio spendere per ricordare il momento in cui te ne sei andata per sempre, la valigia aperta sul letto, i vestiti ammucchiati dentro come stracci, il tuo modo di muoverti a scatti, presa da un fervore innaturale. Dieci minuti prima eri sotto un treno, con il viso sul tavolo e le braccia penzoloni, che affogavi nella tua saliva. Poi quel maledetto bagno ti ha di nuovo intrappolata regalandomi l’altra te che non sopportavo. Hai riempito uno zaino della roba che tenevi nel soggiorno, buttata dentro come fosse immondizia, mentre ti guardavo a distanza senza fiatare. Il vestito rosso a fiori bianchi che indossavi sembrava girare istericamente per casa, fra i cassetti dei nostri ricordi, per poi scomparire dietro una porta sbattuta con rabbia.Mi sono rimaste forse dieci righe, l’unica cosa che mi rimane di te, assieme al pacco di Camel sul comodino, alle scarpe nere col tacco che non sapevi portare, al pigiama rosa piegato sotto il cuscino, alle dieci euro arrotolate in bagno, allo specchio che non rifletteva più la tua immagine. Forse ti avrei dovuto mandare a fanculo al momento giusto, ma non sono mai stato capace di guardarti in faccia e affrontarti. Ho sempre voluto dirti quanto eri bella e quanto eri speciale, se ti avessi detto anche quanto eri falsa e quanto eri stronza, forse…le righe non sarebbero finite.Ma le righe restano poche e le parole si sono confuse e intrecciate. Il senso di tutto, smarrito fra le lettere aggrovigliate, mi lascia disorientato e rimango solo, con le mie pagine bianche.
Friday, December 11, 2009
Wednesday, December 09, 2009
Wednesday, December 02, 2009
Tuesday, December 01, 2009
Illuminati
Nella mia vita da torinese ho sempre vissuto il Natale al freddo e al gelo, come una novella bambina gesù, battevo i denti alla vigilia e mi accucciavo vicina al forno caldo che cuoceva biscotti fatti dalla santa mamma pugliese, il cielo era bianco e l'odore della neve penetrava nelle narici avide di slitte e scuole chiuse. Il primo giorno di neve scattava la telefonata all'amica del cuore e munite di sacchetti neri e resistenti per la spazzatura adoravamo gelarci le chiappe giù per la collina per poi consolare i nostri geloni col bonet piemontese.
Mi dicono che manca un mese a Natale, me lo dicono le voci radiofoniche, me lo dicono le statistiche sui consumi, ma non basta. Il periodo natalizio a Torino si avverte per tutt'altro, per il freddo pungente, la maestosità delle Alpi innevate e anche per l'installazione delle luci d'artista. Un'idea originale che ha ormai compiuto il dodicesimo anno, apprezzata dalla maggior parte della popolazione che d'improvviso si ritrovano il Monte dei cappuccini tinto di blu o un lampione reale che sprizza colori. Un alto esempio di laicità, che coinvolge l'arte contemporanea nello spirito natalizio, accoglie chiunque sbarchi alla stazione di porta nuova, italiano o meno, credente o no, affascina e accomuna le espressioni di stupore dei viandanti.
Sembra strano, ma voci mi dicono che si sta avvicinando il Natale anche a Roma... Guardo fuori dalla finestra, il cielo è limpido, azzurro, l'aria primaverile sollecita il miei ferormoni, se non fosse per le luci natalizie e il traffico che aumenta in modo esponenziale e spasmodico, penserei che sia il tempo delle primule. E mi rendo conto che qui, come nella maggior parte delle regioni che godono del micro clima sudista, l'aria natalizia è diversa, non ha quella compattezza che immagino nella terra degli aiutanti di babbo natale, mi ricorda più il disordine di una processione popolare, l'entusiasmo collettivo si riversa per la strada e non attorno al caldo camino, il piacere della festività è come se fosse gettato a secchiate tra i passanti, svaniscono le distinzioni tra il privato e il pubblico.
Quest'aria festosa e disordinata è leggibile passeggiando, la pepata di cozze luminosa che affiora dalle strade sembra quasi una privata espressione di gioia, come se l'ottico esprimesse con le sue luci la sua personale voglia di festa, e poco gli importa l'effetto ottico che affiora con le lucine del macellaio affianco.
Fortunati quest'anno i romani, che avranno il presepe disegnato e realizzato da Luzzati, che per anni ha accompagnato i natali torinesi in piazza Carlo Felice e prestato per la commemorazione che si svolgerà nella capitale. E fortunati a Salerno, dove hanno chiesto e avuto in prestito alcune installazioni di luci d'artista.
In questo clima sfavillante, gioioso e talvolta folle mi è caduto l'occhio su un addobbo, non proprio natalizio. Mi viene in mente la facciata di una chiesa in ristrutturazione vicino casa, che è stata coperta con un mega manifesto imperante e inquietante, niente meno che da un cartellone dell'ENI, e per non parlare di quelle 48 ore in cui una facciata di San Pietro è stata coperta dalle grandi tette che "esprimevano" le offerte di una compagnia telefonica.
Rabbrividisco, e non di freddo.