[su richiesta di stocazzo (vedi commenti) chiuderò il post domani mattina non appena entrerò in ufficio! ovviamente sono del parere che ognuno di noi debba assumersi le proprie responsabilitò (io per primo). con ciò intendo dire che se si scelgono determinate modalità di espressione (blog, giornali, sms, lettere scritte, telefonate, graffiti, skizzi di sperma sul cornetto) per comunicare concetti, pareri, inkazzature, deliri e anisie varie... è bene che dopo ci si aspetti delle reazioni e le si affronti senza passi indietro o, per essere più precisi, che si concordi attraverso il mezzo utilizzato un nuovo mezzo espressivo. questo perchè nelle provocazioni è facile dar sfogo agli istinti. è normale. chi non lo capirebbe. ma quando un istinto è lasciato libero, alla deriva, a volte l'unico modo per rimetterlo entro confini controllabili è un evento di proporzioni simili da contrapporre. sicuramente anche quesata mia posizione è opinabile, ma quello che voglio dire è che rotto un equilibio in modo devastante, l'equilibrio successio si crea su macerie difficili da non vedere.
so di parlare al vento, perchè adesso è tardi e domani queste mie parole spariranno.
verba volant, scripta manent, ma internet scorre dal volant al manent e viceversa senza controllo!
questo è il mio manifesto sociopatico!
percepitelo come cazzo vi pare!
girolamogrammatico
xango
nemesi
gino
donà
caloggero
a coso
kiamatemicomecazzovipare]
…venerdì scorso al Simposio la crew di Terranullius e i componenti di Percezione Sociopatica si sono ritrovati a dibattere su diversi argomenti correlati all’ultimo libro pubblicato dal Bufi e il Moretti dal titolo “L’orata innamorata” edito da Coniglio Editore. I più puntuali hanno avuto la fortuna di assaggiare l’orata marinata preparata dallo zelante chef, una leccornia delittuosa che non ha avuto pietà nemmeno dei palati più delicati. Per chi non avesse capito, una vera e propria copulazione tra papille gustative e flaccida carcassa che si concludeva con un delitto passionale e qualche rutto al limone. A coronare poi l’atto, del buon vino bianco offerto dagli organizzatori. Insomma, si preannunciava una bella chiacchiera.
Come sempre a introdurre la serata era stato il Moretti sbiascicante e valente accompagnato dalla maestria intrattenitrice del Bufi. Una modesta platea divisa tra interdetti, amici e conoscenti ascoltava silente, tanto che il Grammatico ha dovuto mettere su un discorsetto degno del Maurizio Costanzo Show per strappare dalle loro mani un timido ma devo dire deciso applauso. Che dire, il pubblico è sempre il pubblico.
Graditi e intelligenti gli interventi da parte del rappresentante di RadioCopyDown, trasmissione di Radio Onda Rossa che vi invito a seguire. Regina della serata, la cucina. Si è parlato di ingredienti letterari, di malaletteratura, di editori si e no onesti, di culinaria intemperanza, di pollo alle mele e direttive sulla preparazione, di pescivendoli sexy, di vongole bagnate, di ragazzi che appena usciti dall’alberghiero si rifiutano di pelare le patate, di quale sarebbe stato il mio ruolo in una cucina qualora mi fossi cimentato a fare il cuoco e cioè passare le patate già pelate ai neo-diplomati, di diritti sulle ricette, di gelosie tra cuochi ma soprattutto, si è parlato di copyleft. Di certo non starò qui a spiegarvi tecnicamente e legalmente di cosa si tratti, chiunque voglia documentarsi può leggere il libro dall’omonimo titolo “Copyleft”, curato da Girolamo Grammatico che vanta non poche pubblicazioni che seguono questa straordinaria filosofia editoriale. Libera distribuzione artistica, mi concederà “forse” il Grammatico o perlomeno a me piace vederla così. Eppure durante la serata, questo argomento complesso ma accomunante ha scaturito una piccola disputa sulla citazione del nome dell’autore e della fonte da cui si trae la sua opera. Premetto: questo blog, come molti di voi avranno di sicuro notato, si avvale di questa filosofia editoriale. Potrete infatti notare il logo dei Creative Commons e tanto di conciso chiarimento sulla questione dei diritti.
La ricetta culinaria si tramanda, è popolare e di conseguenza appartiene al popolo tutto.
Nulla da ridire.
Farsi citare a giudizio per aver cucinato una carbonara penso suonerebbe come una bella barzelletta. Ma esistono ricette particolari, tutelate dal diritto d’autore standard, vale a dire il copyright. Ed è meglio che qui mi astenga da ogni giudizio. In fondo molti editori pubblicano libri di ricette come i consigli di suor Germana, che per riproporre e al massimo aggiungere non so, i pinoli nel risotto alla milanese viene pure retribuita. Io invece, non vi dico che pagherei ma in compenso prometto la mia stima verso colui/e disposto/a a cucinarsi un bel piatto di patate e seppie a modo mio:
Ingredienti per due persone:
400g di seppie
350g di patate
50g di pomodori pachino
cipolla
sale
pepe bianco
Fate rosolare in una padella la cipolla, aggiungete le patate tagliate a cubetti e fate cuocere a fuoco lento (coprite con un coperchio la padella), girate di tanto in tanto sennò vi si attacca tutto. Appurate che le patate si siano dorate dunque aggiungete le seppie già ripulite, sale e solo dopo aver fatto cuocere per un po’ il tutto aggiungete il pepe bianco. Fate cuocere fino a creare una deliziosa zuppetta, immergete i pomodorini interi. Qualche altro minuto ed è fatta.
Buon appetito.
Da diritti culinari a diritti editoriali. Il buon Moretti come sempre, sputtana diversi editori e critica “alcuni” autori disposti ancora a far si che “quegli” editori continuino a registrare codici ISBN a manetta riempiendosi loro le tasche di soldi e gli altri di mosche per il piacere, riprendo il Moretti “…di regalare il libro alla madre e agli amici – …ma non è meglio pubblicarlo su internet e farlo leggere a milioni di persone?...”. Ditemi come dargli torto. Pochi minuti dopo, povero illuso, intervengo raccontando un piccolo aneddoto che il Grammatico conosce bene. E’ inutile raccontarvela, vi basta carpirne il senso. Dopo aver pubblicato una short story su una antologia mi accorgo, il giorno della presentazione, di non essere citato fra gli autori. Non vi nascondo il mio spiacere anche perché il libro tratta di un argomento a me caro e il fatto di stare in mezzo a quelle pagine in maniera quasi anonima scompensa poco poco il mio entusiasmo. Ma che dire, ero dentro quel libro, avevo avuto la possibilità di esprimere un parere, di rappresentare un sentimento e ciò mi bastava. Fino a quando quella stessa sera, una volta giunti ai convenevoli post-reading, il curatore (che d’altronde stimo e colgo pure l’occasione di salutare, ciao D’Amato) gentilmente segnala al pubblico la mia presenza, ringraziandomi del contributo. Peccato però che nel fare il mio nome cita qualcun altro, un certo Antonio Caruso (per i più curiosi). Da allora, questo piccolo episodio è diventato oggetto di simpatico sberleffo amichevole che nonostante la mia permalosità mi costringe a non esimermi dal ridere.
E quando gli amici ridono non posso che felicitarmi. In fondo penso a tutte quelle persone che ogni giorno mangiano merda per un po’ di fama e il tempo di ridere nemmeno ce l’hanno.
Ecco, tornando a noi, questo piccolo episodio ha acceso un breve dibattito sulla questione “citazione dell’autore”. Parole belle, a mio avviso giuste. Si è detto, come anticipavo prima, che non esistono in fondo diritti (tranne qualche eccezione) sull’arte culinaria, che nessuno ha mai inventato nulla ma solamente “riproposto”, che bisogna abbandonare l’idea del nome e concentrarsi sull’arte come artigianato. Nulla in contrario. In fondo se andate da un falegname e chiedete di farvi fare una sedia non ci metterà di certo la firma. Non scritta intendo, perché la sua firma sarà rappresentata dalla qualità dell’artefatto. Se poi un giorno inviterete a cena un vostro amico e gli cucinerete una bel piatto di patate e seppie e sempre quel vostro amico noterà la comodità della sedia che vi siete fatti fare dal falegname e ancora vi chiederà dove l’avete acquistata, perdonatemi, cosa farete? Non invierete l’invitato dal falegname affinché anche egli potrà godere di quella comodità in casa propria? Il falegname sarà molto contento, continuerà a fabbricare sedie comode e potrà vivere del suo mestiere. Magari pagassero me per i miei artefatti, forse “scomodi” è vero, ma creati con lo stesso entusiasmo usato dal falegname. Invece, come ho scritto tempo fa, vengo di tanto in tanto contattato da gente che mi promette cose che non può però pagarmi ma che mi daranno l’opportunità di far conoscere il mio nome.
Ebbene, grazie alla cassazione rivolgo a tutti loro un bel vaffanculo.
Il Grammatico risponde più o meno così alle mie parole: “Antonio è ancora un ragazzetto, è normale che alla sua età sia importante farsi conoscere… - …chi pretende di firmare le proprie opere ha paura della morte, vuole lasciare per forza qualcosa ai posteri…ecc ecc”.
Manca l’applauso, peccato.
Non mi pare però che il Grammatico soffra di astinenza da firma. Ma forse e dico forse, l’età interpreta ogni sottile desiderio. Eppure anche lui, anche voi come me, tutti noi quindi, non ci siamo inventati nulla ne inventeremo qualcosa, ma impegneremo noi stessi nel cercare di aggiungere, modellare con le nostre mani, innovare, trasmettere nuove emozioni, migliorare qualcosa sulle basi di chi ci ha preceduto per il bene comune. Sapere che il 14 marzo del 1994 un certo Linus Torvalds presenta all’università di Helsinki il suo (oggi di tutti) Linux 1.0 mi fa stare bene e il fatto che egli stesso utilizzò il suo nome non mi fa certo pensare che avesse paura della morte o che addirittura volesse lasciare un segno ai posteri solo per fama. Ha utilizzato il suo nome perché fiero del suo nome. E grazie a lui forse, oggi godiamo su internet di distribuzioni libere geniali come ad esempio, tanto per citare il Moretti, “Wikipedia, l’enciclopedia libera”.
Se poi volete sapere com’è finita la serata bè, vi lascio il “libero” beneficio del dubbio. Le serate di Terranullius finiscono sempre come nei films, tutti ubriachi a beneficiare della forza dell’altro. Il reading continua intimo e turbolento come fossimo tutti su un grande palco, di fronte a centinaia di persone che non ci capiscono un cazzo ma il semplice fare finta ci aggrata. Fino a quando il proprietario del posto non ci chiama a sloggiare il culo dalla sedia comoda fatta da un bravo falegname. E poi tutti a casa, a farsi una bella cagata prima di dormire e leggere l’immancabile catalogo Ikea.
Il lieto fine senza errata corrige.
a.