Come sapete questo è l’anno della povertà, l’anno europeo. Il 17 ottobre sarà la giornata mondiale della lotta alla povertà indetta dall’ONU, insomma, quasi un Natale laico, una specie di epifania del potere secolare della solidarietà! In questi casi il rischio di realizzare una sagra dell’amore è sempre dietro l’angolo. E’ un rischio subdolo, che non ci aggredisce al buio, ma ci segue monitorando la nostra eventuale superficialità.
Questo per dirvi che a Roma, come in tutta Italia, come in tutta Europa, le attività dedicate alla povertà, al disagio, alla fragilità [anche se credo avrei dovuto usare il plurale: le povertà, i disagi, le fragilità] saranno tantissime e tutte slegate tra loro. Il termine “slegate” non lo uso a caso. Slegate non in riferimento all’oggetto del loro operare [le povertà], ma slegate tra di loro [le attività]. Nell’era dell’interconnessione, dell’interdipendenza, delle reti noi, in Italia, facciamo le cose per il bene comune senza un dialogo comune, ma, come ogni luogo comune che si rispetti, ci lasciamo offuscare dai problemi, dalle difficoltà, dalla retorica del “le cose qui non funzionano”.
Secondo me, invece, esiste un inconscio “diritto di prelazione del povero” che esalta la propria autoreferenzailità, il tutto unito alle difficoltà reali che s’incontrano lavorando con/per la povertà.
Questo per dirvi che a Roma, come in tutta Italia, come in tutta Europa, le attività dedicate alla povertà, al disagio, alla fragilità [anche se credo avrei dovuto usare il plurale: le povertà, i disagi, le fragilità] saranno tantissime e tutte slegate tra loro. Il termine “slegate” non lo uso a caso. Slegate non in riferimento all’oggetto del loro operare [le povertà], ma slegate tra di loro [le attività]. Nell’era dell’interconnessione, dell’interdipendenza, delle reti noi, in Italia, facciamo le cose per il bene comune senza un dialogo comune, ma, come ogni luogo comune che si rispetti, ci lasciamo offuscare dai problemi, dalle difficoltà, dalla retorica del “le cose qui non funzionano”.
Secondo me, invece, esiste un inconscio “diritto di prelazione del povero” che esalta la propria autoreferenzailità, il tutto unito alle difficoltà reali che s’incontrano lavorando con/per la povertà.
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